Finalmente il 6 luglio è arrivato;
l’ho atteso con trepidazione, per me rappresenta una piccola sfida carica di
motivazioni e speranze. Sento la necessità di confrontarmi con altre realtà; sono
accompagnato da un sottofondo di vibrante preoccupazione per l’imminente
ingresso in luoghi a me totalmente estranei per lingua, cultura, usi e costumi.
Non riesco a capire se si tratta di entusiasmo adolescenziale o di
preoccupazioni tipicamente senili. Ma cavolo!! ormai sono all’alba dei 48 anni,
l’esperienza dovrebbe rendermi più freddo e razionale, pronto ad affrontare
qualsiasi realtà, ma così non è. Comunque il momento è arrivato e quindi si
parte.
E qui, finalmente con la mente scevra da ogni
impegno, vado a sbattere contro un secondo aspetto che non avevo ancora preso
in considerazione: per la prima volta, dopo tanti anni, mi muovo senza la mia
compagna di vita, con persone delle quali non so assolutamente nulla,
frettolosamente e superficialmente conosciuti in due riunioni di preparazione
al viaggio. All’inizio mi sento solo e leggermente disorientato, ma
fortunatamente l’amenità di cui sono intinti i miei compagni mi aiuta ad a
mandare in letargo l’orso che vive in me consentendomi di aprirmi ed integrarmi
nel gruppo. È fantastico il ns. gruppo. Più volte durante il viaggio mi sono
sorpreso a meditare su questo aspetto: siamo tutte persone che conducono le
proprie vite in modo completamente dicotomico per condizioni famigliari,
lavorative e di svago, incompatibili per
abitudini e consuetudini. Probabilmente queste dicotomie, vissute nel
territorio ove abitualmente ci muoviamo, ci avrebbero piuttosto spinto in
derive snobistiche impedendoci di incontrarci, confrontarci e condividere esperienze
comuni; però nonostante ciò, dopo poche ore e, forse, con l’ausilio di qualche
mantra-birra, si era già riusciti a demolire parecchie barriere condividendo
risate e scherzi come vecchi amici, fantastico!!!!
La perfetta organizzazione messa
in campo dallo staff dell’L.V.I.A. (grandi Sandro e Roberta) ci ha permesso di
godere di un buon viaggio sia per l’andata che per il ritorno. Nulla da
eccepire anche sul programma di viaggio vissuto in Kenya. Sin dal primo impatto
all’uscita dall’aeroporto di Nairobi ho avuto conferma che l’esperienza a cui
andavamo incontro non sarebbe stata banale ma bensì unica ed entusiasmante,
forse non confortevolissima, ma sicuramente degna di essere vissuta in ogni suo
attimo. Quello che immediatamente mi ha colpito è vedere un sacco di persone
lungo il bordo delle strade; a qualsiasi ora vanno e vengono apparentemente
senza meta…, poi osservando bene ti accorgi che una meta ce l’hanno e inizi a
capire alcuni piccoli aspetti della vita che ti erano sfuggiti quali, ad
esempio, la differenza tra i bisogni necessari e quelli voluttuari. Chi di noi farebbe
abitualmente a piedi qualche chilometro per svolgere una semplice commissione?
Qui si va piedi per procurarsi acqua, cibo e legna, per trasportare ai mercati
un po’ di merce da vendere, oppure incroci biciclette e/o motociclette caricate
all’inverosimile di caschi di banane, legna, taniche per l’acqua, foraggio per
animali, animali vivi ecc.. La presenza di tutte queste persone è una costante
che ci accompagnerà per tutto il viaggio.
Anche l’assetto urbanistico che si presenta sia lungo le tratte stradali che nei centri cittadini è quasi traumatizzante. In quasi tutte le strade che abbiamo percorso si affacciano di tanto in tanto casupole ad un piano in muratura intervallate ad altre baracche in legno e lamiera e banchetti di mercato. Gli spazi che dividono questi fabbricatini dalla strada sono quasi sempre sterrati; non c’è ordine, tutto sembra precario e apparentemente ostile all’umana presenza. Dopo un po’ ti abitui e ti rendi conto che è molto più a dimensione d’uomo di quanto siamo abituati a vivere e pensare.
I primi giorni scorrono andando a
visitare i luoghi intorno alla cittadina di Meru recandoci, con l’ausilio di
Enrico, nei luoghi dove sono stati realizzati i grandiosi progetti idrici a
cura dall’L.V.I.A. e di fratel Argese alternandoli con visite a due scuole di
campagna, una primaria e secondaria, al Tigania Hospital nonché a casa del
mitico e buon anfitrione Ciokera per un momento di festosa accoglienza.
L’essenzialità delle scuole visitate in quest’occasione mi fa l’effetto di un
forte schiaffo e mi lascia leggermente stordito: quanta differenza dalle nostre
strutture. Nella scuola secondaria, che è una sorta di collegio-scuola, i
ragazzi vivono letteralmente in baracche di lamiera paragonabile ad un piccolo
rimessaggio; il solo fabbricato in muratura esistente è destinato ad aule
scolastiche. Quando incontriamo gli allievi, che a poco a poco abbandonano le
aule scolastiche per venirci ad accogliere, inizialmente provo un profondo
senso di imbarazzo e inadeguatezza,,ma dai volti sorridenti dei ragazzi, mossi
a loro volta da un evidente atteggiamento di timida curiosità, riesco
immediatamente a percepire il loro calore e la loro voglia di rapportarsi
cercando di carpire il più possibile su di noi. Quando ripartiamo sono felice
di aver potuto condividere qualche minuto con questi ragazzi, mi sento
improvvisamente ed immotivatamente più ricco. Anche la successiva visita alla
scuola primaria mi colpisce moltissimo; benché in questo caso, trattandosi di
un’attività esclusivamente diurna, non troviamo più gli allievi, rimango
particolarmente impressionato dalle strutture: troviamo fabbricati sia in
muratura che il legno, entrambe con pavimenti in terra battuta, banchi in legno
frettolosamente composti e tavole didattiche appese ai travi del tetto consistenti
in banali cartelloni disegnati a mano chissà quanti anni fa: incredibile!!!
La visita all’ospedale di Tigania
provoca un altro terribile scossone alla mia già traballante coscienza. Questa
volta siamo in presenza di più fabbricati ad un piano fuori terra distribuiti
su una vasta area discretamente accudita. Benché tutto sommato il sito si
presenti accogliente ed armonioso, rimango ancora una volta colpito dalla
povertà e dall’essenzialità delle strutture. Il personale ci accoglie
calorosamente e ci permette di visitare il reparto di maternità. Mi affaccio in
un paio di cameroni con la sensazione di commettere un atto di offesa della
dignità degli ospiti ma, ancora una volta, vengo ricambiato da ampi e
disarmanti sorrisi delle neomamme che riescono parzialmente a compensare il mio
stato d’angoscia.
In questi giorni veniamo anche
accompagnati a visitare un interessante centro denominato Meru Herbs dove si è
sviluppato con successo un progetto di cooperazione rurale finalizzato alla
coltivazione e lavorazioni di prodotti, quali carcadè, camomille, confetture,
ecc. e commercializzati dai canali del
mercato equosolidale. Bel progetto: solido, semplice e funzionale, rispettoso
dell’ambiente e fonte di reddito per centinaia di famiglie.
Rimango leggermente deluso
dell’escursione alla Tea Factory di Michimukuru, non tanto dalla visita allo
stabilimento di trasformazione del prodotto, quanto a causa delle pessime
condizioni meteorologiche che non ci consentono di apprezzare in appieno le
dolci e vaste lande interamente ricoperte da distese di verdeggiante e
rigoglioso Te.
Il viaggio prosegue con verso il
Samburu Park con una breve sosta presso la città di Isiolo e relativa
incursione presso il locale mercato ortofrutticolo di cui approfittiamo per
procurarci il pranzo; siamo accolti da un magnifico caos che inizialmente mi
procura un po’ di turbamento ed insicurezza, ma il contatto con la gente
allegra desiderosa di offrirti la loro merce riesce a tranquillizzarmi
permettendomi di godermi, a momenti alterni, in appieno la magia del momento;
l’alternanza è data dalla triste presenza, ahimè, di bimbi dediti allo
sniffaggio della colla che vagano per il mercato come fantasmi eccitati
nell’indifferenza della gente; è questo il mio primo devastante approccio con
una contraddizione che aumenta proporzionalmente con l’aumentare delle
dimensioni delle città. Appena usciti da Isiolo, alla volta del Samburu Park, nel
sostare su un’area apparentemente desertica per consumare il nostro frugale
pranzo, ci capita un curioso e divertentissimo episodio: appena discesi dal
mezzo di trasporto vediamo spuntare dal retro del “matato” un bambino che con
fare disinvolto si accosta a noi e senza proferire verbo inizia ad osservarci.
In un attimo spuntano altre due sorridenti bambine che raggiungono il loro
amico, un’altra ragazzina che si tiene leggermente a distanza e ancora altri
ragazzi che ci osservano da una ventina di metri. Risultato: abbiamo condiviso
con loro il nostro cibo improvvisando una curiosa e silenziose festicciola; non
dimenticherò mai le loro i loro volti bellissimi e sorridenti, carichi di
dignità e di speranza.
Nel Samburu Park abbiamo potuto
osservare e fotografare gli animali in un mini-safari e godere di un’ottima
sosta notturna presso il Samburu Lodge. Nonostante lo standard rispondesse in
appieno al nostro stile di vita occidentale riscontro che mi ha lasciato un po’
di amaro in bocca.
Il giorno successivo siamo
partiti alla volta di Nanyuki ove abbiamo pernottato in un tipico albergo
africano che ci ha riportato decisamente ad assaporare la realtà locale. Sempre
a Nanyuki abbiamo avuto occasione di visitare una scuola primaria, ove gli
studenti ci hanno accolto con deliziosi canti corali, e una cooperativa
condotta esclusivamente da donne per la produzione di tappeti e tessuti.
Il pomeriggio ci ha riservato
un’altra toccante visita presso il St. Martin Centre di Nyahururu. In questa
occasione ci siamo recati a visitare alcuni progetti seguiti da questo centro
rivolto al recupero di bambini di strada, maltrattati e sieropositivi.
Nell’avvicinarci a questi luoghi siamo sempre stati seguiti da uno stuolo di
bambini che, mossi dalla curiosità, facevano a gara a salutarci e stringerci le
mani. L’unità dedicata al recupero dei bambini di strada è stata teatro di una
improvvisata partita di calcio Kenya – Italia; quanto vorrei poterla rigiocare.
La successiva visita al centro per l’accoglienza ed il sostegno ai bambini
sieropositivi è stata vissuta con trepidazione. Non riuscivo ad immaginarmi
cosa avrei potuto trovare. Devo dire che anche in questo caso non ho tratto
altro che un sentimento di pace e serenità; improvvisamente ti rendi conto di
come sia tutto sommato confortante poter dare sollievo a persone molto più
sfortunate di te, specialmente se si tratta di bambini. L’amore che trasuda da
persone in tutto e per tutto come te, che si donano con lo scopo di far
trascorre una vita serena e dignitosa a questi bambini, è semplicemente
sconvolgente, dirompente e trascinante. Improvvisamente
mi rendo conto di quanto tempo ho smarrito nel contribuire a sostenere i nostri
meschini egoismi. Queste esperienze vanno meditate e capitalizzate.
Ancora un giorno di rilassamento
visitando due laghi trionfo della natura, Bogoria e Naivasha, e ultimo giorno a
Nairobi.
Al mattino incontro con
l’ottantaquattrenne Andrea Botta, fondatore di Meru Herbs, e poi, senza enfasi,
la discesa nell’inferno di Korogocho. Entrando in una slum il primo pensiero è
come possa l’uomo ridursi ad accettare di vivere in una realtà nata attorno ad
una discarica utilizzata come fonte di sostegno, in strade fangose costellate
da mucchi di rifiuti e fogne a cielo aperto riccamente alimentate da liquami
maleodoranti e, infine, vedere un sacco di bambini che ti corrono incontro
urlandoti:” how are you?”; tu chiedi a me come sto? Poi scopri che gli slum sono ambienti terribili
dove la vita non ha granché valore, che i bambini per andare a raccogliere
nella discarica devono pagare una sorta di pizzo a qualche capo mafia, che le
baracche sono costruite su suolo pubblico e se le vuoi abitare devi pagare un
affitto a qualche sfruttatore, che i bambini sono dediti a sniffare colla e
avanti così…. e poi, sempre in questo
inferno, trovi persone meravigliose, preparate e volenterose che hanno creato e
curano centri come quelli di Korogocho per il recupero dei numerosissimi
bambini di strada, cercando di farli studiare, provando a riunificarli con le
loro famiglie d’origine che li hanno abbandonati e, soprattutto, alfabetizzandoli
ed insegnando loro a giocare; non riesco ad immaginare bimbi che non sanno
giocare. A pochissimi chilometri la contraddizione estrema: Nairobi centro,
palazzoni, centri commerciali, negozi, ristoranti, dove è vietato fumare per le
strade. Vivere tutto questo in giorno solo è semplicemente tremendo e ti lascia
una sensazione di impotenza, ma allo stesso tempo ti scatena una voglia di
credere sempre più nell’eguaglianza, libertà e giustizia provocandoti e istigandoti
a fare qualcosa in più.
Di questa esperienza mi rimangono
impresse tutte le immagini che nessuna macchina fotografica riuscirà mai a
cogliere come la bellezza intrinseca dei luoghi e dei suoi abitanti; in
particolar modo emerge la dignità che ho visto fieramente trionfare soprattutto
nelle persone più semplici, in contesti non urbani e in condizioni ambientali
che noi definiremmo “non ottimali”. Questo
è stato sicuramente il viaggio più bello della mia vita in quanto, forse per la
prima volta, sono stato obbligato a guardarmi dentro cercando di fare luce tra
le mie contraddizioni affinché, iniziando a fare ordine in me e tenendo conto
della mia modesta capacità di apporto, riesca, come la proverbiale goccia nel
mare, a trasmettere esempi di veri
valori umani improntati alla convivenza, tolleranza e sostenibilità. Ci vuole
molta forza, chissà se ne sarò capace…?
Un enorme grazie a Roberta per la
perfetta organizzazione, a Sandro per la sapienza con cui ci ha condotto a
spasso per il kenya, ad Enrico per la pazienza con la quale ci ha accolto a
Ruiri, a Ciokera, Alessia, Alice, Kevin e a tutte le altre persone ed operatori
che abbiamo incontrato nei luoghi visitati e che con il loro esempio ci hanno
trasmesso un grandissimo messaggio di speranza, ed infine grazie ai miei
compagni di viaggio con i quali ho serenamente condiviso questa esperienza.
Matteo.
Bene Vagienna, 1 agosto 2012.
Ciao Matteo... grazie per aver condiviso i tuoi appunti e per avermi fatto rivivere quelle intense giornate ! A presto
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