lunedì 20 agosto 2012

DIARIO DEL VIAGGIO IN KENYA 6-15 Luglio 2012


Questa è una descrizione più o meno fedele del viaggio, che ci aiuta  a rivivere momento per momento le emozioni provate e ancora, per noi, difficili da esprimere.

Venerdì 6 luglio
Il viaggio inizia per buona parte di noi a Cuneo, qualcuno viene recuperato per strada, Wanda all’aeroporto di Malpensa e la famiglia di Foligno ci raggiunge al Cairo.

Ci conosciamo poco, come ci troveremo con il resto del gruppo? Ci saranno come al solito i leaders ed i gregari?: i due incontri ai quali non tutti hanno partecipato e qualche mail per scambiarci le nostre idee sulla prevenzione della malaria, ci hanno permesso comunque di rompere il ghiaccio. Abbiamo percepito il difficile ed egregio sforzo organizzativo svolto da Roberta e ben presto facciamo gruppo attorno a Sandro, la nostra guida.
Come sarà il viaggio? Le premesse non sono delle più rassicuranti: due ore e trenta di auto per arrivare al Malpensa, quattro ore di volo da Malpensa al Cairo, un paio d’ore d’attesa al Cairo, quattro ore e trenta di volo dal Cairo a Nairobi e gran finale tre ore e trenta di navetta da Nairobi per raggiungere la zona del Meru.

Partiamo da Malpensa con un’ora di ritardo. Sorvoliamo l’Adriatico, poi ci spostiamo sull’Albania, sulla Grecia, passando tra il Pireo ed Atene…poi mi addormento.
Mi sveglio quando si vede il Cairo dall’alto: città immensa, senza verde, che ha lo stesso colore del deserto che la circonda e l’aspetto di un insieme di costruzioni Lego.
Anche l’aeroporto è immenso, o meglio, sembra non finire mai per via delle numerose postazioni di controllo passaporto e metal-detector a cui ci sottoponiamo, spesso incoerenti tra loro: ad Alessadra viene sequestrato l’accendino (forse le assistenti sociali non devono fumare?), ad altri no. Cominciamo a preoccuparci un po’ quando il nostro “capo” viene trattenuto perché in possesso di lame per traforo, nello stesso zaino teneva anche i soldi per il viaggio.
In aeroporto troviamo Concetta (che avevamo sentito via Skipe a Cuneo), suo marito Giovanni e i figli Fabio e Giulia, giunti da Roma. Così tra presentazioni e discussioni in dogana il tempo  trascorre velocemente ed anche Sandro viene “dissequestrato”.

È notte fonda quando decolliamo per Nairobi. L’aereo è pieno di olandesi. Sandro ci spiega che questi imprenditori coltivano fiori e verdure in Kenya per il mercato del loro paese e per alcuni paesi arabi.
In aereo, verso mezzanotte, consumiamo il “cenone” dell’Egipt-air, analogo al pranzo, mentre la luna quasi piena sorge (o tramonta?) sul deserto.

In Kenia ci sono due ore di differenza di fuso, ma non essendoci l’ora legale, dobbiamo spostare le lancette avanti solo di una ora. Qui, a livello dell’equatore, la lunghezza del giorno è costante tutto l’anno: il sole sorge verso le 7 e tramonta verso le 19.

Sabato 7 luglio
Atterriamo alle 3.45, poi dobbiamo compilare un modulo di soggiorno e pagare 40 euro come permesso di ingresso in Kenya. È curioso vedere la tranquillità degli addetti.
Usciti dall’aeroporto Sandro si guarda intorno per vedere i nostri taxisti, ma, non scorgendoli li cerca nel vicino parcheggio: stanno dormendo nei “Matata” (così vengono chiamate le navette di trasporto, che vedremo poi in ogni dove). I nostri “matata” sono azzurri e verdi, con una striscia gialla e le scritte indicanti la tratta che generalmente compiono nel servizio pubblico. Uno è omologato per 10 posti e l’altro per 11. Noi siamo 17 più i due autisti e i nostri bagagli. A proposito di questi, John (uno dei nostri autisti) non riesce ad aprire il portellone posteriore con le buone maniere, allora assesta un bel calcio al “matata” che cede, per vendicarsi più avanti, facendo cadere i nostri bagagli durante il passaggio a velocità elevata, su un dosso.
  
La guida è all’inglese: l’autista è a destra e marcia sul lato sinistro della strada.
I kenioti guidano tutti come pazzi e le strade sono piene di dossi per rallentare un po’ questa folle corsa e forse permettere ai numerosissimi pedoni di attraversare senza essere travolti. Sono poche le strade asfaltate e con scarsa manutenzione; collegano i centri più grandi, per il resto si viaggia sullo sterrato, pieno di polvere e di buche. Oltre a questi furgoni, che a volte sono stra-carichi, (almeno con il doppio di persone rispetto alla disponibilità di posti), nello sterrato vediamo solo fuori-strada e moto.
È diffuso un tipo di moto cinese con doppi ammortizzatori posteriori. Costa tra i 300 ed i 600 euro e chi se la può permettere la usa anche per trasportare carichi: legna, frutta, animali. Abbiamo visto anche 4 passeggeri sulla stessa moto! Non c’è traccia di casco naturalmente!

È ancora buio e ci sembra strano vedere tanta gente a piedi, ai lati di quella che dovrebbe essere un’autostrada. Continueremo a vedere gente a piedi lungo tutto il viaggio a tutte le ore e nei posti più impensati o più sperduti ed è ciò che mi mancherà di più tornando a casa.
L’alba ci fa scoprire un paesaggio verdeggiante, rigoglioso. Ci sono piantagioni di banane, di ananas e persino risaie e alberi fioriti. Non è l’Africa che immaginavo…
Verso le 8 ci fermiamo in una cittadina per la colazione. Chi ordina il the si trova latte allungato e la bustina, chi ordina il caffè si trova latte e la bustina di caffè liofilizzato. Queste prime sorprese ci fanno cominciare a ridere insieme e fare gruppo. Ci riscattiamo gustando delle specialità dolci    fritte, molto gradevoli e una squisita macedonia in porzione gigante.

Questo primo momento di convivialità, dove siamo nuovamente riuniti mi porta a ripensare al nostro gruppo.
Durante il viaggio, vuoi perché ciascuno aveva il suo posto, vuoi per la stanchezza, i momenti di contatto tra di noi sono stati pochi, ma quelle rare battute scambiate in modo così naturale mi tranquillizzano moltissimo (ho bisogno di tranquillità: grazie gruppo!) e gradualmente ed incredibilmente, vista la nostra eterogeneità, comincio a pensare di avere accanto le persone con cui avrei desiderato viaggiare e questa sensazione non mi abbandonerà più..
Ma di quale tranquillità sto parlando? Be! La tranquillità di “leggere e percepire” questa esperienza senza il fastidio dell’irritante giochino della fissazione della graduatoria sociale di ciascun componente del gruppo (… a scuola tutti rasati e con la stessa divisa …).
Ebbene in seguito ci siamo conosciuti meglio, abbiamo parlato della nostra vita e delle nostre attività, ma sempre nel pieno rispetto della sensibilità di ciascuno. Anche Sandro nel suo ruolo (dovuto) di guida ha vestito i panni di leader con il rispetto di tutti e con pacata ma ferma autorevolezza. (Grazie a tutti).  

Ripartiamo e dopo poco vediamo il cartello dell’equatore. Decidiamo di fotografarlo, anche se Sandro ci ricorda che lo passeremo ancora parecchie volte, da altre parti.
Giungiamo finalmente a Ruiri (Meru), constatando che siamo in viaggio da più di 24 ore.
La nostra meta è una congregazione all’interno della missione della Consolata .

Dunque siamo arrivati; certo siamo stanchi, ma non distrutti: il viaggio è andato bene.

Nel cortile stanno giocando ragazzi e ragazze con le animatrici. Interrompono le loro attività per guardare i nostri visi pallidi e ci seguono finché un fraticello non ci distribuisce le chiavi delle camere assegnateci. Il pranzo sarà annunciato dal suono della campanella. Le camere si aprono tutte su un giardinetto interno che ricorda un po’ il chiostro dei conventi ed ospita una tartaruga abbastanza grande, ma molto timida. Per noi è luogo di ritrovo, come pure i bagni in comune e la sala da pranzo. Rimaniamo 3 notti qui, più che sufficienti per spaziare un po’ oltre, occupando anche lo spazio nel frigo e il salone fino a tardi…I pasti sono a self service, abbondanti e ottimi.
Dietro l’edificio c’è la sede della L.V.I.A. e risiede Enrico, un volontario con la sua famiglia. Enrico ci accompagnerà fino a martedì, poi partirà per l’Italia, dove lo attende la sua famiglia d’origine e una figlia.

La sistemazione è buona, le docce e gli scarichi hanno qualche problemino ma niente di che, vitto eccellente.

Enrico ha lavorato alla progettazione e costruzione di acquedotti e nel pomeriggio ci porta a visitarne uno di 10 km, con 2 vasche di riserva, che serve 13000 persone. Da queste vasche poste in collina, partono diverse condutture che portano l’acqua a fontane pubbliche dalle quali si attinge acqua con 2 scellini (100 scellini = circa 1 euro), oppure a privati. L’acqua scende per caduta, perché c’è un bel dislivello.

Per quanto ce ne possiamo intendere l’opera è veramente apprezzabile, specialmente sapendo quanto sia assente l’aiuto economico governativo, inversamente proporzionale alla presenza delle autorità in occasione delle inaugurazioni.

Visitiamo poi un’abitazione dove la L.V.I.A. ha istallato uno dei numerosi sistemi di raccolta dell’acqua piovana. Si tratta di un deposito di cemento chiuso, nel quale si fa confluire l’acqua dal tetto e dal quale poi si attinge l’acqua per l’utilizzo quotidiano mediante un rubinetto che pesca 10 cm sopra il fondo. Anche in questo caso il destinatario dell’acqua contribuisce in parte alla copertura delle spese.

Quanta ammirazione per Enrico, così d’amblé, mi verrebbe voglia di togliere la statua di “Silvio” ….. (Pellico) (senza volergliene) da Saluzzo e mettere al posto quella di Enrico, ma non sono così sicuro che apprezzerebbe. Che gran lavoro ha fatto in questi anni e sta tuttora facendo. Ci spiega il tutto con grande semplicità, come se fosse naturale .. è il suo lavoro .. è la sua scelta di vita .. è il posto dove vuole stare .. tornerà in Trentino, ma per farsi un po’ di ferie.
Quanta ammirazione!  

Incontriamo il signor Chokera, una vera istituzione del posto, che ci accompagna poi a visitare una scuola gestita da Francescani. È sabato pomeriggio, i bambini della scuola primaria sono a casa, visitiamo le loro aule che sono costruzioni con pavimento in terra, finestre senza vetri e rozzi banchi in legno, ma tappezzate di cartelloni alle pareti, con tavole riassuntive che sembrano quasi un libro.
Nello stesso complesso (uno sterrato con recinzione, cancello e costruzioni con tetto in lamiera) c’è la Scuola secondaria professionale, tipo Agraria o ITIS. I ragazzi e le ragazze sono presenti e sono vestiti in divisa. Mangiano e dormono a scuola e le famiglie pagano una retta. Ci sono le aule, la cucina, dove i ragazzi preparano i pasti e due dormitori, rigorosamente separati per sesso. Si tratta di capannoni con poche finestre, le lamiere come tetto e arredati con una serie di letti a castello, non sempre provvisti di materasso.
Chokera ci presenta il direttore della scuola. E’ molto giovane, quasi si confonde con gli alunni. A sua volta ci presenta ai ragazzi, che si raccolgono in un baleno nell’aula e vogliono sapere da ognuno di noi chi siamo, da dove veniamo, cosa facciamo.
Ogni volta che visitiamo qualcosa o qualcuno c’è la cerimonia del saluto e della presentazione, come pure la firma e il commento scritto: la testimonianza di chi è passato.
Per completare la giornata, forse una delle più “vissute”della mia vita, andiamo a casa di Chokera. Con un giochetto a sorteggio ci offre simpatici souvenir costruiti in casa con zucche essiccate e dipinte e collanine.

E’ stato un bel momento, nella sua semplicità, ed i piccoli oggetti ci faranno ricordare Chokera, la sua famiglia e la sua terra.

Torniamo per la cena stanchi ma felici. Divoriamo spezzatino di manzo con riso in bianco, patate, verza, minestrone, banane e anguria. Io dopo la cena mi ritiro, mentre i giovani hanno ancora energie per fare salotto!

Ora siamo immersi nella realtà del posto, è veramente grande lo sforzo che devo fare per capire questa realtà, questa cultura (educazione) così diversa. E’ possibile percepirne a pieno almeno una parte nel breve volgere di questo viaggio senza viverla direttamente?
Cosa pensano di noi gli abitanti dei villaggi, gli educatori, i ragazzi, gli autisti che ci accompagnano? Siamo i visitatori dello ” zoo”? Conviene trattarci bene per convenienza?   
Ma quante domande mi faccio?
Pensando all’accoglienza di Chokera ed ai sorrisi dei suoi ragazzi arrivano le risposte: non è indispensabile capire a fondo, è indispensabile capire che in questa realtà ci sono dei problemi primari da risolvere con delle priorità e la soluzione non può essere che ….” pensare meno ed agire di più”.
Riguardo il “cosa pensano di noi”, anche in questo caso la risposta può essere di una semplicità disarmante: se il nostro atteggiamento è di rispetto per la persona, qualunque persona, non dobbiamo preoccuparci del giudizio, altrimenti conviene farci un pensiero.
Queste riflessioni mi fanno sentire veramente orgoglioso di essere accompagnato dai volontari L.V.I.A. e mi rendo conto di approfittare a piene mani del merito e della riconoscenza acquisiti dall’Associazione in tutti questi anni di attività in Kenya.

Domenica 8 luglio
Dopo il sonno ristoratore e una buona colazione, ci rechiamo presso la missione della Consolata a Mukululu, viaggiando su strade polverose e in salita: sembra di andare nei boschi eppure lungo tutto il tragitto vediamo gente a piedi, vestita a festa.
Qui partecipiamo alla messa che è un vero e proprio spettacolo: c’e tanta gente attiva, che canta e danza.

Si capisce chiaramente che la musicalità ed il ritmo sono innati in questo popolo ed i canti e le danze sono considerati come un’offerta ed un omaggio, non soltanto in occasione delle cerimonie religiose, ma anche come vedremo in seguito, verso gli ospiti. Durante la funzione, in occasione dei canti più ritmati, dove tutti si muovevano e cantavano all’unisono, l’impressione era di essere dentro un’onda del mare e di far parte di un unico corpo.

Sono tutti molto curati nell’abbigliamento e le donne anche nell’acconciatura. Le treccine sono  veri e propri capolavori!
La messa è anche un momento forte di aggregazione ed incontro prima e dopo il rito.
Abbiamo notato durante tutto il nostro viaggio che i keniani sono persone molto dignitose, con spiccata cura dell’aspetto, del modo di presentarsi, orgogliose e molto accoglienti verso gli ospiti.

Qui vive da 56 anni fratel Giuseppe Argese, detto Mukiri (il silenzioso), originario della Puglia.
Ha  costruito questa grande chiesa, collaborando in prima persona alla definizione di soluzioni architettoniche e al progetto  dell’edificio. Il risultato è veramente sorprendente.
Coltiva un grande orto con verdure, fiori e piante sia provenienti dall’Italia che locali. Ci spiega che le piante importate o diventano gigantesche o non producono affatto, rimanendo nane. È riuscito a produrre anche due o tre tipi di vino che vende nei ristoranti più famosi di Nairobi.
Anche noi acquistiamo alcune bottiglie con le quali più tardi chiuderemo festosamente la cena.  Grazie anche alla sua dote di rabdomante, (ma non solo) ha costruito un grande acquedotto che copre 300 kmq e serve una popolazione di 250.000 persone.

Anche questa testimonianza mi lascia con una sensazione di .. mordi e fuggi .. forse la mia lentezza  a percepire .., ma la storia e le opere di fratel Argese meriterebbero molto di più delle poche ore che riusciamo a dedicargli, senza alcuna critica all’organizzazione del viaggio.

Per vedere questi lavori ci inoltriamo nella foresta di Nyambene che ricorda un po’ i nostri boschi, con la novità delle scimmie, che vediamo saltellare agilmente da un ramo all’altro ad altezze impressionanti e delle felci che qui sono veri e propri alberi. Ci sono sorgenti, invasi, bacini di raccolta e addirittura una sorgente nella montagna, ritrovata scavando a mano una galleria. Il pic nic in questo scenario idilliaco crea il buonumore tra la comitiva.

La giornata prosegue con la visita al Tigania Hospital, un complesso sanitario iniziato dalla LVIA negli anni 67-68 ed ora completamente autogestito da personale locale. Ci sono diverse costruzioni basse ad un unico piano terra, alcune adibite a reparti: infettivi, maternità, medicina; altre a servizi: radiologia e laboratorio, lavanderia, cucina…, poi ci sono gli alloggi (stanze) per il personale. L’assistenza non è gratuita: il paziente versa un contributo in base alle sue possibilità.
Giovanni ha lavorato in questo ospedale circa un anno e Concetta ci fa vedere dove abitavano circa 24 anni fa. Giulia è nata a Meru e Fabio  allora aveva pochi anni.

Anche in questo caso mi colpisce la sensazione di precarietà che cozza con la nostra mentalità occidentale.
Dopo lo sforzo iniziale di fondare, costruire ed espandere una realtà come questa, posso capire gli alti ed i bassi di una gestione più o meno buona, ma ora, pensare che si potrebbe perdere tutto soltanto per la difficoltà a reperire le figure  di gestione e l’organizzazione di sostegno, mi pare veramente uno spreco immenso ( ..where is Kenya ?..).

La sera ci intratteniamo allegramente fino a tarda ora, sorseggiando il vino acquistato al mattino.

Lunedì 9 luglio
Oggi il cielo è coperto ed aleggia una nebbiolina autunnale.
Andiamo al Meru Water Office: lo studio di Enrico, dove vediamo i progetti idrici realizzati in Tharaka/Meru South dagli anni 80 in poi, in collaborazione con un certo sig. Botta, che ritroveremo a Nairobi.
La gestione degli acquedotti è regolata da centri autonomi con un proprio comitato.
Visitiamo uno di quelli che funzionano meglio. Qui hanno quasi tutti l’acqua in casa....Significa che hanno una fontana in cortile, con rubinetto munito di lucchetto e pagano a consumo.
Ci rechiamo presso una  famiglia, dove la signora ci spiega che prima di avere l’acqua in casa, lei dedicava 5-6 ore al giorno all’approvvigionamento  per la casa e gli animali.
Ci spostiamo nuovamente coi matata, i cui finestrini proprio non vogliono saperne di stare chiusi, e viaggiando ore e ore su queste polverose strade sterrate, ci ricopriamo di polvere rossa come l’argilla che ci circonda. Facciamo i fanghi a secco!
Arriviamo alla Meru Herbs, dove pranziamo. Si tratta di una sorta di fattoria modello / cooperativa che prepara marmellate, sughi, lavora carcadè, camomilla, citronella, che commercializza soprattutto nei negozi equo-solidali all’estero. È una cooperativa che ha un’area di coltivazione a scopo soprattutto dimostrativo, poi compra e lavora anche i prodotti dei contadini associati ai quali fornisce l’acqua.

E’ stato veramente interessante parlare con i responsabili che gestiscono questa realtà. Sciorinando le spiegazioni tecniche sui tipi ed i sistemi di coltivazione o il metodo di preparazione dell’humus, l’essicazione del carcadè, l’uso conservante della citronella o la preparazione dei mattoni, traspare netto il loro orgoglio per gestire direttamente queste attività .. “questa è la nostra forza”.
 
Nel tragitto verso Ruiri, incrociamo tanti bambini che tornano da scuola, rigorosamente in divisa, (diverse da scuola a scuola: maglia marrone e camicia arancione, maglia blu e camicia verde chiaro, maglia viola e camicia rosa) Come risaltano i colori sulla loro pelle color cioccolato!… Ci salutano con le mani e con i loro sorrisi.

Martedì 10 luglio
Ci alziamo con una pioggerellina finissima e ci dirigiamo in alto, verso il monte Kenia, dove ci sono estese coltivazioni di the. Peccato che il tempo non ci permetta di spaziare di più con lo sguardo per ammirare queste stupende distese di cespugli, divise dal labirinto dei sentieri necessari alla raccolta.
A Michimukuru intraprendiamo la visita guidata della Tea Factory, indossando i camici bianchi.
La fabbrica, un tempo gestita dagli inglesi, è diventata statale per passare poi in mano a privati locali. Lavora il prodotto delle sue coltivazioni e ciò che viene conferito da altri coltivatori.
Il the arriva in grandi sacchi aperti e viene subito selezionato: più il germoglio è tenero, cioè di punta e migliore è il prodotto. Suddividono tre tipi di qualità. Le foglie vengono trattate con aria calda per 6 ore, poi viene aspirata aria per altre 6 ore, dopodiché il prodotto dovrebbe avere il 60% di umidità. Sempre procedendo su rulli, viene tritato, raffinato e passato nell’essiccatore a 140°. Dopo un’ora e mezza è pronto per essere controllato e confezionato in grandi sacchi. Questo è il the nero, che nella distribuzione industriale viene poi miscelato con altri tipi.
Scendiamo dalla montagna passando per un’altra strada più ripida e impervia della precedente. Raggiunta la pianura però ci dirigiamo verso nord e il paesaggio cambia, diventando sempre più arido.
Scompaiono le coltivazioni di banane sostituite da distese di arbusti secchi, intervallati qua e là da piante grasse nelle dimensioni di alberi. Molti alberi presentano simil-cestini appesi ai loro rami: sono i nidi dell’uccello tessitore, guardandoli bene, infatti, si scorge il foro di accesso.
Anche la gente cambia: gli individui sono più alti, snelli, longilinei. Sono i Masai.
Gli animali sono più magri: vediamo greggi di pecore e capre che pascolano non si sa bene cosa e sono praticamente assenti le mucche. Tra gli arbusti secchi compare a volte una capanna di paglia circolare o a forma di panettone. Seguiamo una strada asfaltata di recente, dove non passa quasi nessuno.
Decidiamo di comprare la frutta per il pranzo ad Isiolo, un paese che incontriamo strada facendo: c’è il mercato, come in tutti i paesi, ogni giorno, lungo la strada principale, nello sterrato delle piazze e sotto baracche di legno ( i più fortunati perché c’è l’ombra?).
Il gruppo si compatta attorno a Sandro per entrare nel mercato: qui non conviene tanto andar da soli. Da ogni parte ragazzini consumano e ci offrono  una droga leggera che toglie lo stimolo della fame, altri sniffano colla. Non so se sia maggiore l’interesse a venderci l’erba o la curiosità nei nostri confronti!

Ci sentiamo un po’ smarriti, ci sono dei volontari qui ? Dov’è la diocesi ? A chi si aggrappano questi ragazzi ?

Poiché non troviamo un angolo per il nostro pic-nic, proseguiamo qualche chilometro arrestandoci in uno spiazzo all’apparenza senza anima viva.
Appena iniziamo a consumare i nostri panini, si avvicina un bimbetto di pochi anni. Gli offriamo un  panino, mangia avidamente il pane, ma guarda con dubbio il tonno, che evidentemente non conosce e tenta di rifilarlo alla bambina giunta subito dopo.
Pian piano ne arrivano altri e, dopo la diffidenza iniziale si avvicinano anche gli adulti., seguiti a breve distanza dagli animali che pascolano. Condividiamo il nostro pranzo, ma oggi per loro  sarà sicuramente una giornata speciale. E ci vien da pensare “con così poco…”.
Proseguiamo ancora su questa strada costruita di recente, incrociando piccoli villaggi di Masai, con le tipiche capanne e recinzioni in arbusti secchi, finchè ci troviamo all’ingresso del Samburu Park.

Qui l’atmosfera cambia drasticamente ed in modo stridente con la realtà di Isiolo: grossi Land Rover e “matati” col tettino rialzato arrivano in continuazione carichi di occidentali con super attrezzature fotografiche.

Mentre attendiamo Sandro che sta espletando le pratiche burocratiche per il nostro ingresso e soggiorno nel parco, ammiriamo splendidi uccelli che vestono i colori dei nostri matata.
Ora i nostri autisti ci portano in giro, attraverso vie sabbiose e polverose. Siamo tutti alle prese con le nostre più o meno sofisticate macchine fotografiche, attenti a “cogliere l’attimo fuggente” …
Vediamo i dik-dik sempre molto vicini alle strade e in coppia, le gazzelle in gruppo, gli impala, e una grande famiglia di elefanti, tra i quali anche due piccoli, ben protetti dagli adulti. Pascolano tranquilli, senza considerarci.
Arriviamo al Lodge che non è ancora buio, in tempo quindi per ammirarlo in tutta la sua magnificenza. E’ una struttura alberghiera con tanti bungalow eleganti, con il tetto in paglia, posti in un parco all’ombra di alti alberi e in riva al fiume. C’è pure la piscina! Tutto ciò che cercano gli occidentali, ma che stona un po’ con l’Africa vista fino ad ora!
Doccia super, pasti a buffet, piscina, coccodrilli sulle rive del fiume, a pochi metri da noi, scimmiette che saltellano tra gli alberi, musica… quanta ricchezza! Sto cercando di mettermi nei panni del personale che lavora qui e forse proviene da chissà quali realtà…
Mentre ceniamo, un gatto selvatico attraversa il locale e, con velocità fulminea si sistema su una trave del sottotetto, lasciando in mostra la sua lunga coda juventina. Mi incuriosiscono due individui vestiti da Masai che se ne stanno lì vicino ai tavoli con la fionda in mano e il sassolino già preparato per essere lanciato, ma a chi? Alle scimmiette che rubano cibo dal piatto dei commensali o dai piatti preparati sul bancone, con un’abilità, una destrezza e una velocità sorprendenti.

Mercoledì 11 luglio
Oggi sveglia presto, per poter vedere gli animali che poi si riposano quando fa caldo. Monica si fa attendere e per questo si porterà in eredità “where is Monica?” coniato da Seresio, il secondo autista.
Facciamo un ampio giro prima di colazione e siamo molto fortunati perché riusciamo a vedere quasi tutti i tipi di animali qui presenti, persino un ghepardo un po’ zoppicante e quindi a rischio per la sua vita…

E’ stato fantastico vedere a pochi passi questi splendidi animali in libertà nel loro ambiente naturale. Questa tappa non poteva mancare.

Dopo colazione vita da spiaggia alla piscina. Fa molto caldo, anche se siamo nella stagione fredda e il fiume ora è nel pieno della portata ma è in secca per molti mesi dell’anno. Ora la sua acqua è torbida e rossa come la terra argillosa che si vede ovunque.
Ripartiamo nel primo pomeriggio e dopo una trentina di chilometri (?) il paesaggio cambia totalmente: stiamo salendo su per le montagne intorno ai 2000 metri. E’ tutto coltivato, ci sono tante serre (Sandro dice che sono gestite da arabi) e molti prati. Le mucche sono di nuovo belle floride.. In lontananza vediamo le colline del the e la nebbiolina che ci limita lo sguardo.
Siamo di nuovo nella zona di Meru. Ci fermiamo a Nanyuki, dove cerchiamo un Hotel per la notte. È di “lusso”per i kenioti,  ma a noi sembra molto scarso, dopo l’esperienza del Lodge, ma più consono all’esperienza che stiamo vivendo.
Facciamo il giro del paese prima di cena: i negozi che stavano chiudendo, si affrettano a riaprire  passandosi parola. C’è una via centrale asfaltata, sulla quale si affacciano quasi tutte le botteghe, tutto il resto generalmente è terra battuta.
Davanti al nostro hotel c’è un edificio in costruzione: i nostri geometri guardano con attenzione i ponteggi fatti di rami e piccoli tronchi d’albero (forse per copiarne il modello?) La 626 sembra fantascienza …

Giovedì 12 luglio
Dopo colazione si visita a Nanyuki una scuola primaria che funziona molto bene: i bambini pagano una retta annuale pari a 12 euro. Ci accolgono con canti che ci ricordano il nostro paese.

Ancora una volta abbiamo la conferma che il governo Kenyota voglia fortemente la scolarizzazione dei giovani, ma il suo impegno si limita a stipendiare gli insegnanti, tutto il resto è carico delle associazioni di volontariato e delle comunità locali. Visto da noi Italiani vien quasi da pensare che in fondo se la comunità locale finanzia direttamente la costruzione di una scuola o un qualunque altro servizio, controlla in modo veramente diretto la spesa che sostiene ed il denaro non si disperde in mille rivoli    mi scopro secessionista .. ? o sto soltanto guardando il nostro futuro nella sfera di cristallo di questa esperienza?

Nello stesso complesso c’è anche il Self Help Group: una cooperativa che dà lavoro a 137 donne tra le più disagiate di Nanyuki. Lavorano la lana, partendo dalla cardatura a mano, poi eseguono la filatura, il lavaggio e la tintura con fiori ed erbe, la produzione al telaio di tappeti e altri manufatti. Hanno anche un locale per esposizione e vendita di questi e altri prodotti artigianali.

Nel nostro viaggio verso Nyahururu, abbiamo la possibilità di ammirare delle belle cascate ed essendo un luogo turistico, troviamo anche chi ci vuole mettere i camaleonti sul braccio per la foto.
Pranziamo in un ristorante, dove ci servono pollo arrosto e patatine per meno di due euro!

Proseguiamo verso ovest, fino al S.Martin Center. Questo centro è nato grazie alla diocesi di Padova che lavora qui da quasi 60 anni. Consta di diverse strutture: una per il recupero dei bambini di strada, una per le bambine vittime di violenze, una per i bambini sieropositivi orfani e per quelli handicappati.

Il concetto forte del S.Martin è che non deve essere tanto aiutato il disabile, il malato, o la persona in difficoltà, ma la comunità che le sta intorno, che deve essere formata ad essere consapevole dei bisogni e saper accogliere chi è in difficoltà   "Only through community"
                                                                                                             
Il S.Martin Center coinvolge 1200 volontari locali, grazie ai quali riesce ad individuare ed aiutare i soggetti più bisognosi creando una rete di sostegno alle comunità locali.
Le prime due strutture sono situate nella baraccopoli, per non dislocare i ragazzi troppo al di fuori della loro realtà. Se abbandonano la struttura viene data loro ancora una possibilità di ritornare.
Generalmente la riabilitazione avviene dopo circa 6 mesi, ma è molto soggettiva. Ci presentiamo a vicenda, come sempre e poi i nostri maschi giocano una partitella a pallone con i ragazzi: sono molto allegri, ci chiedono di tornare. Il pallone unisce età, lingue e anche colori diversi della pelle!
Poco più avanti, sempre nella stessa zona periferica, ci sono le ragazze: la più piccola avrà 5 anni e la più grande è fuggita perché fatta sposare dalla famiglia poco più che bambina. Stanno accendendo la stufa a legna per preparare la cena. In entrambe le strutture è sempre presente un operatore (educatore?).
Il centro per sieropositivi invece è nel paese, conta 64 bambini. Vivono in gruppi di 10-12, con cucina, servizi, camera e operatrice che chiamano “mamma”, come fossero una grande famiglia. La struttura ha un ampio locale per ritrovi comunitari e per incontri con i parenti. I bambini vivono qui, ma frequentano le scuole pubbliche. Il centro è finanziato dai parenti dei bambini che preferiscono pagare piuttosto che tenere in casa un malato di AIDS (è molto stigmatizzante per loro) e dalla comunità locale.
Incontriamo casualmente una volontaria veneta, qui da 2 o 3 anni.: a Venezia lavorava nella moda, ma ora sente che non sarà più quello il suo lavoro al suo ritorno a casa…

Ancora riflettendo sull’esperienza di oggi e sulla “marcia in più” dei volontari incontrati, troviamo persino accogliente l’hotel di Nyhaururu.  

Venerdì 13 luglio
Oggi facciamo di nuovo i turisti: la nostra meta è il lago di Bogoria. Per arrivare lì viaggiamo molto in alto, dove c’è tanto verde e molte piantagioni di caffè e di ananas. Da un certo punto molto panoramico a quota 2.550 metri vediamo la Rift Valley: una depressione che si estende per 9600 km.
Arrivando in pianura il paesaggio cambia totalmente diventando arido, secco. Vediamo mandrie di zebre e qualche struzzo.
All’ingresso al parco del lago comperiamo il necessario per il pic nic (qualche scatola di biscotti), notando con stupore che si vendono tante uova. Usufruisco dei bagni e vi assicuro che sono i peggiori tra quelli sperimentati nel viaggio. E’ molto meglio la natura, ma non sempre è possibile…
Il lago è quasi per metà coperto da una miriade di fenicotteri rosa, che noi osserviamo nei loro spostamenti in gruppo, mentre consumiamo il pranzo all’ombra un po’ scarsa di alcuni alberi.
Bogoria è un lago di origine vulcanica, infatti, poco più avanti ci sono i geyser: sorgenti di acqua bollente. Un’intera scolaresca in gita sta cuocendo le uova in quell’enorme pentola naturale. Le uova vengono messe nei sacchetti di nylon, legati in punta ad un ramoscello e poi immersi nell’acqua e dopo 7 minuti sono sode!
La zona sembrerebbe essere un habitat per serpenti, ma il solo pensiero mi fa rabbrividire. Meglio non pensarci!
Non siamo abituati al caldo afoso che c’è qui, noi ora conosciamo l’Africa fresca.
In preda all’abbiocco post-prandiano, ci mettiamo in viaggio verso il lago Naivasha, situato più a sud. Arriviamo quasi al tramonto ma ancora in tempo per un giro in barca alla ricerca degli ippopotami. Sono tutti in acqua, ma vediamo i loro occhi affiorare, la bocca spalancata  di uno (sbadigliava per la noia?), il corpo di un altro che è a riva…C’è anche, l’aquila pescatrice bianca e nera. Il nostro barcaiolo la richiama con  un fischio, poi butta un pesce in acqua e lei si lancia dall’albero sul quale è appollaiata,  carpendo la preda con gli artigli.
Non ci resta che raggiungere Nairobi: ci sono due belle ore di viaggio. Lungo la strada vediamo una moltitudine di serre gigantesche per fiori e frutta e vicino a queste numerose costruzioni tutte uguali, in serie, potrebbero essere dormitori per il personale o abitazioni anche per le famiglie…Rimane il dubbio…
Arriviamo dalle suore dell’Assunzione verso le 21. Doccia, cena e nanna. Vita un po’ monastica anche per noi.

Sabato 14 luglio –Domenica 15 luglio
Nairobi è una grande città, con una popolazione di circa 4 milioni di abitanti, destinata ad aumentare molto rapidamente.
Passiamo  a salutare il sig. Botta, l’ideatore del Meru Herbs, il quale ci accoglie nel suo ufficio e ci spiega come è nata la sua idea e come l’ha portata avanti nel tempo, ampliando e migliorando i prodotti e i contatti col mercato estero. E’ già molto avanti con gli anni e spera che i suoi successori sappiano portare avanti dignitosamente questa l’attività.
Attraversiamo una zona residenziale della città, dove vediamo ville circondate da giardini con piante d’alto fusto e, a volte, anche protette da un giro di fili d’alta tensione!
Arriviamo poi alla periferia, alla bidonville.
Passiamo nell’unica strada presente, ai lati della quale ci sono montagne di rifiuti e su questi ci sono maiali, magre caprette e bambini che scavano. Poco oltre ci sono bancarelle per la vendita di generi vari, la maggior parte forse riciclati dalla grande discarica che vediamo dietro la baraccopoli, banchi di generi alimentari molto scadenti. Vicino alla strada (è veramente difficile definirla così) c’è un piccolo fossato con un po’ di acqua nera puzzolente che risponderebbe bene al nome di fogna. Dietro alla via tante baracche di legno, fatiscenti, con piccoli passaggi tra fango, terra rossa polverosa,  detriti e  rifiuti. Tantissima gente in movimento, bambini scalzi ovunque.
Ci fermiamo nella comunità fondata dal Padre Comboniano Alex Zanotelli (un personaggio scomodo “silurato” da “autorità italiane” “molto in alto”), un centro, costruito per i ragazzi di questa baraccopoli (Korogocho, che significa caos).
C’è la scuola frequentata da circa 960 bambini e una biblioteca ben fornita. I muri della scuola che si affacciano al cortile sono atlanti di anatomia, di geografia…
I bambini trascorrono la loro giornata a scuola, dove pranzano anche, poi tornano a casa a dormire e qualcuno anche a lavorare.
Una volontaria bresciana ci spiega che tutti i ragazzi di strada che sono tali per scelta, cioè per sfuggire alle violenze casalinghe, o perché abbandonati, riescono ad essere recuperati e riabilitati al 100% Quelli che invece hanno già avuto esperienze di droga o prostituzione sono recuperabili al 50%, cioè una metà torna a fare la vita di prima. Per questi ultimi è stato aperto un altro centro più vicino alla discarica, dove fanno tanta attività fisica e pian pianino vengono aiutati a riprendere la scuola da dove l’avevano interrotta.  Li vediamo mentre danzano: hanno proprio il ritmo nel sangue.
Coinvolgono anche noi. Sarebbe bello condividere più tempo con loro! I loro sorrisi sono meravigliosi, esprimono tanta voglia di vivere.  In questa nostra passeggiata siamo accompagnati da ragazzi del quartiere diventati volontari del centro. Provo un certo disagio in questo cammino, mi sento spettatrice della malasorte altrui, mi sembra di violare la privacy di questa povera gente.

E’ certamente l’esperienza più forte di tutto il viaggio, non trovo le parole .. è come scendere all’inferno e scoprire che proprio li c’è un miracolo ..

Per pranzare ci inoltriamo nella modernità dei centri commerciali di Nairobi, dove non si può neanche fumare per strada: siamo ancora tutti sconvolti da ciò che abbiamo visto. Come possono esistere due Afriche così diverse a poche centinaia di metri l’una dall’altra? È il controsenso di tutte le grandi città…
Nel centro ci sono ristoranti di nazionalità diverse, ma quasi tutti noi scegliamo la cucina africana, alla quale ci siamo affezionati.
Dopo pranzo shopping nei mercatini tipici a caccia di souvenir, tra bigotteria, oggetti in legno, batik e teleria. Appena arriviamo un passaparola generale diffonde la notizia tra i vari venditori che si preparano a trattare i prezzi.
Ci intratteniamo in una birreria del centro per bere qualcosa di fresco, in attesa della cena al “Carnivore”, un locale tipico per gustare carni alla brace di vari tipi di animali. Ceniamo mentre davanti a noi si esibiscono su un palco i Samburu, con salti, danze propiziatorie (alla fertilità, alla circoncisione…). Man mano che la serata prosegue, sempre più gente viene coinvolta nelle danze. Fuori arde un grande braciere rotondo intorno al quale ci si siede per riscaldarsi e chiacchierare. Tutto questo non è strano se si pensa che Nairobi è a 1800 metri di altitudine e siamo nella stagione fredda. Giunge così l’ora di partire per l’aeroporto: siamo tutti silenziosi, ma non è solo l’ora tarda a renderci muti…
All’aeroporto di Nairobi compiliamo un modulo, ma i controlli sono molto più sbrigativi e così anche al Cairo, dove qualcuno rischia quasi di restare a terra...!
Il nostro aereo decolla alle 4 e 30 e atterra al Cairo verso le 8.20. Salutiamo gli amici di Foligno e ripartiamo alle 9.45 per atterrare a  Malpensa alle 14 circa, stanchi ma felici dell’esperienza.

Il viaggio non solo ha soddisfatto le nostre aspettative ma è andato oltre e per questo vogliamo ringraziare ancora l’ottimo lavoro organizzativo di Roberta, Sandro che è stato un ottimo e paziente accompagnatore, tutti i volontari e le persone che abbiamo incontrato e lo splendido gruppo nel quale ci siamo trovati.

Caterina e Roberto  

1 commento:

  1. Un vero e proprio diario di viaggio!!! Che bello, ho recuperato tanti piccoli momenti che avevo scordato! Grazie, Monica.

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