Questa è una descrizione più o meno fedele del viaggio, che ci aiuta a rivivere momento per momento le emozioni
provate e ancora, per noi, difficili da esprimere.
Venerdì 6 luglio
Il viaggio inizia per buona parte
di noi a Cuneo, qualcuno viene recuperato per strada, Wanda all’aeroporto di
Malpensa e la famiglia di Foligno ci raggiunge al Cairo.
Ci conosciamo poco, come ci troveremo con il resto del gruppo? Ci
saranno come al solito i leaders ed i gregari?: i due incontri ai quali non
tutti hanno partecipato e qualche mail per scambiarci le nostre idee sulla
prevenzione della malaria, ci hanno permesso comunque di rompere il ghiaccio.
Abbiamo percepito il difficile ed egregio sforzo organizzativo svolto da Roberta
e ben presto facciamo gruppo attorno a Sandro, la nostra guida.
Come sarà il viaggio? Le premesse non sono delle più rassicuranti: due
ore e trenta di auto per arrivare al Malpensa, quattro ore di volo da Malpensa
al Cairo, un paio d’ore d’attesa al Cairo, quattro ore e trenta di volo dal
Cairo a Nairobi e gran finale tre ore e trenta di navetta da Nairobi per
raggiungere la zona del Meru.
Partiamo da Malpensa con un’ora
di ritardo. Sorvoliamo l’Adriatico, poi ci spostiamo sull’Albania, sulla
Grecia, passando tra il Pireo ed Atene…poi mi addormento.
Mi sveglio quando si vede il
Cairo dall’alto: città immensa, senza verde, che ha lo stesso colore del
deserto che la circonda e l’aspetto di un insieme di costruzioni Lego.
Anche l’aeroporto è immenso, o meglio,
sembra non finire mai per via delle numerose postazioni di controllo passaporto
e metal-detector a cui ci sottoponiamo, spesso incoerenti tra loro: ad
Alessadra viene sequestrato l’accendino (forse le assistenti sociali non devono
fumare?), ad altri no. Cominciamo a preoccuparci un po’ quando il nostro “capo”
viene trattenuto perché in possesso di lame per traforo, nello stesso zaino
teneva anche i soldi per il viaggio.
In aeroporto troviamo Concetta
(che avevamo sentito via Skipe a Cuneo), suo marito Giovanni e i figli Fabio e
Giulia, giunti da Roma. Così tra presentazioni e discussioni in dogana il tempo
trascorre velocemente ed anche Sandro
viene “dissequestrato”.
È notte fonda quando decolliamo
per Nairobi. L’aereo è pieno di olandesi. Sandro ci spiega che questi
imprenditori coltivano fiori e verdure in Kenya per il mercato del loro paese e
per alcuni paesi arabi.
In aereo, verso mezzanotte, consumiamo
il “cenone” dell’Egipt-air, analogo al pranzo, mentre la luna quasi piena sorge
(o tramonta?) sul deserto.
In Kenia ci sono due ore di
differenza di fuso, ma non essendoci l’ora legale, dobbiamo spostare le
lancette avanti solo di una ora. Qui, a livello dell’equatore, la lunghezza del
giorno è costante tutto l’anno: il sole sorge verso le 7 e tramonta verso le
19.
Sabato 7 luglio
Atterriamo alle 3.45, poi
dobbiamo compilare un modulo di soggiorno e pagare 40 euro come permesso di
ingresso in Kenya. È curioso vedere la tranquillità degli addetti.
Usciti dall’aeroporto Sandro si
guarda intorno per vedere i nostri taxisti, ma, non scorgendoli li cerca nel vicino
parcheggio: stanno dormendo nei “Matata” (così vengono chiamate le navette di
trasporto, che vedremo poi in ogni dove). I nostri “matata” sono azzurri e
verdi, con una striscia gialla e le scritte indicanti la tratta che
generalmente compiono nel servizio pubblico. Uno è omologato per 10 posti e
l’altro per 11. Noi siamo 17 più i due autisti e i nostri bagagli. A proposito
di questi, John (uno dei nostri autisti) non riesce ad aprire il portellone
posteriore con le buone maniere, allora assesta un bel calcio al “matata” che
cede, per vendicarsi più avanti, facendo cadere i nostri bagagli durante il
passaggio a velocità elevata, su un dosso.
La guida è all’inglese: l’autista
è a destra e marcia sul lato sinistro della strada.
I kenioti guidano tutti come
pazzi e le strade sono piene di dossi per rallentare un po’ questa folle corsa
e forse permettere ai numerosissimi pedoni di attraversare senza essere travolti.
Sono poche le strade asfaltate e con scarsa manutenzione; collegano i centri
più grandi, per il resto si viaggia sullo sterrato, pieno di polvere e di
buche. Oltre a questi furgoni, che a volte sono stra-carichi, (almeno con il
doppio di persone rispetto alla disponibilità di posti), nello sterrato vediamo
solo fuori-strada e moto.
È diffuso un tipo di moto cinese con
doppi ammortizzatori posteriori. Costa tra i 300 ed i 600 euro e chi se la può
permettere la usa anche per trasportare carichi: legna, frutta, animali.
Abbiamo visto anche 4 passeggeri sulla stessa moto! Non c’è traccia di casco
naturalmente!
È ancora buio e ci sembra strano
vedere tanta gente a piedi, ai lati di quella che dovrebbe essere un’autostrada.
Continueremo a vedere gente a piedi lungo tutto il viaggio a tutte le ore e nei
posti più impensati o più sperduti ed è ciò che mi mancherà di più tornando a
casa.
L’alba ci fa scoprire un
paesaggio verdeggiante, rigoglioso. Ci sono piantagioni di banane, di ananas e
persino risaie e alberi fioriti. Non è l’Africa che immaginavo…
Verso le 8 ci fermiamo in una
cittadina per la colazione. Chi ordina il the si trova latte allungato e la
bustina, chi ordina il caffè si trova latte e la bustina di caffè liofilizzato.
Queste prime sorprese ci fanno cominciare a ridere insieme e fare gruppo. Ci
riscattiamo gustando delle specialità dolci
fritte, molto gradevoli e una squisita macedonia in porzione gigante.
Questo primo momento di convivialità, dove siamo nuovamente riuniti mi
porta a ripensare al nostro gruppo.
Durante il viaggio, vuoi perché ciascuno aveva il suo posto, vuoi per
la stanchezza, i momenti di contatto tra di noi sono stati pochi, ma quelle rare
battute scambiate in modo così naturale mi tranquillizzano moltissimo (ho
bisogno di tranquillità: grazie gruppo!) e gradualmente ed incredibilmente,
vista la nostra eterogeneità, comincio a pensare di avere accanto le persone
con cui avrei desiderato viaggiare e questa sensazione non mi abbandonerà più..
Ma di quale tranquillità sto parlando? Be! La tranquillità di “leggere
e percepire” questa esperienza senza il fastidio dell’irritante giochino della
fissazione della graduatoria sociale di ciascun componente del gruppo (… a
scuola tutti rasati e con la stessa divisa …).
Ebbene in seguito ci siamo conosciuti meglio, abbiamo parlato della
nostra vita e delle nostre attività, ma sempre nel pieno rispetto della
sensibilità di ciascuno. Anche Sandro nel suo ruolo (dovuto) di guida ha
vestito i panni di leader con il rispetto di tutti e con pacata ma ferma
autorevolezza. (Grazie a tutti).
Ripartiamo e dopo poco vediamo il
cartello dell’equatore. Decidiamo di fotografarlo, anche se Sandro ci ricorda
che lo passeremo ancora parecchie volte, da altre parti.
Giungiamo finalmente a Ruiri (Meru),
constatando che siamo in viaggio da più di 24 ore.
La nostra meta è una
congregazione all’interno della missione della Consolata .
Dunque siamo arrivati; certo siamo stanchi, ma non distrutti: il
viaggio è andato bene.
Nel cortile stanno giocando
ragazzi e ragazze con le animatrici. Interrompono le loro attività per guardare
i nostri visi pallidi e ci seguono finché un fraticello non ci distribuisce le
chiavi delle camere assegnateci. Il pranzo sarà annunciato dal suono della
campanella. Le camere si aprono tutte su un giardinetto interno che ricorda un
po’ il chiostro dei conventi ed ospita una tartaruga abbastanza grande, ma
molto timida. Per noi è luogo di ritrovo, come pure i bagni in comune e la sala
da pranzo. Rimaniamo 3 notti qui, più che sufficienti per spaziare un po’
oltre, occupando anche lo spazio nel frigo e il salone fino a tardi…I pasti
sono a self service, abbondanti e ottimi.
Dietro l’edificio c’è la sede
della L.V.I.A. e risiede Enrico, un volontario con la sua famiglia. Enrico ci
accompagnerà fino a martedì, poi partirà per l’Italia, dove lo attende la sua
famiglia d’origine e una figlia.
La sistemazione è buona, le docce e gli scarichi hanno qualche
problemino ma niente di che, vitto eccellente.
Enrico ha lavorato alla
progettazione e costruzione di acquedotti e nel pomeriggio ci porta a visitarne
uno di 10 km,
con 2 vasche di riserva, che serve 13000 persone. Da queste vasche poste in
collina, partono diverse condutture che portano l’acqua a fontane pubbliche dalle
quali si attinge acqua con 2 scellini (100 scellini = circa 1 euro), oppure a
privati. L’acqua scende per caduta, perché c’è un bel dislivello.
Per quanto ce ne possiamo intendere l’opera è veramente apprezzabile,
specialmente sapendo quanto sia assente l’aiuto economico governativo,
inversamente proporzionale alla presenza delle autorità in occasione delle inaugurazioni.
Visitiamo poi un’abitazione dove la L.V.I.A. ha istallato uno dei
numerosi sistemi di raccolta dell’acqua piovana. Si tratta di un deposito di
cemento chiuso, nel quale si fa confluire l’acqua dal tetto e dal quale poi si
attinge l’acqua per l’utilizzo quotidiano mediante un rubinetto che pesca 10 cm sopra il fondo. Anche
in questo caso il destinatario dell’acqua contribuisce in parte alla copertura
delle spese.
Quanta ammirazione per Enrico, così d’amblé, mi verrebbe voglia di
togliere la statua di “Silvio” ….. (Pellico) (senza volergliene) da Saluzzo e
mettere al posto quella di Enrico, ma non sono così sicuro che apprezzerebbe.
Che gran lavoro ha fatto in questi anni e sta tuttora facendo. Ci spiega il
tutto con grande semplicità, come se fosse naturale .. è il suo lavoro .. è la
sua scelta di vita .. è il posto dove vuole stare .. tornerà in Trentino, ma
per farsi un po’ di ferie.
Quanta ammirazione!
Incontriamo il signor Chokera,
una vera istituzione del posto, che ci accompagna poi a visitare una scuola
gestita da Francescani. È sabato pomeriggio, i bambini della scuola primaria
sono a casa, visitiamo le loro aule che sono costruzioni con pavimento in
terra, finestre senza vetri e rozzi banchi in legno, ma tappezzate di
cartelloni alle pareti, con tavole riassuntive che sembrano quasi un libro.
Nello stesso complesso (uno
sterrato con recinzione, cancello e costruzioni con tetto in lamiera) c’è la Scuola secondaria
professionale, tipo Agraria o ITIS. I ragazzi e le ragazze sono presenti e sono
vestiti in divisa. Mangiano e dormono a scuola e le famiglie pagano una retta.
Ci sono le aule, la cucina, dove i ragazzi preparano i pasti e due dormitori,
rigorosamente separati per sesso. Si tratta di capannoni con poche finestre, le
lamiere come tetto e arredati con una serie di letti a castello, non sempre
provvisti di materasso.
Chokera ci presenta il direttore
della scuola. E’ molto giovane, quasi si confonde con gli alunni. A sua volta ci
presenta ai ragazzi, che si raccolgono in un baleno nell’aula e vogliono sapere
da ognuno di noi chi siamo, da dove veniamo, cosa facciamo.
Ogni volta che visitiamo qualcosa
o qualcuno c’è la cerimonia del saluto e della presentazione, come pure la
firma e il commento scritto: la testimonianza di chi è passato.
Per completare la giornata, forse
una delle più “vissute”della mia vita, andiamo a casa di Chokera. Con un
giochetto a sorteggio ci offre simpatici souvenir costruiti in casa con zucche
essiccate e dipinte e collanine.
E’ stato un bel momento, nella sua semplicità, ed i piccoli oggetti ci
faranno ricordare Chokera, la sua famiglia e la sua terra.
Torniamo per la cena stanchi ma felici.
Divoriamo spezzatino di manzo con riso in bianco, patate, verza, minestrone,
banane e anguria. Io dopo la cena mi ritiro, mentre i giovani hanno ancora
energie per fare salotto!
Ora siamo immersi nella realtà del posto, è veramente grande lo sforzo
che devo fare per capire questa realtà, questa cultura (educazione) così
diversa. E’ possibile percepirne a pieno almeno una parte nel breve volgere di
questo viaggio senza viverla direttamente?
Cosa pensano di noi gli abitanti dei villaggi, gli educatori, i ragazzi,
gli autisti che ci accompagnano? Siamo i visitatori dello ” zoo”? Conviene
trattarci bene per convenienza?
Ma quante domande mi faccio?
Pensando all’accoglienza di Chokera ed ai sorrisi dei suoi ragazzi
arrivano le risposte: non è indispensabile capire a fondo, è indispensabile
capire che in questa realtà ci sono dei problemi primari da risolvere con delle
priorità e la soluzione non può essere che ….” pensare meno ed agire di più”.
Riguardo il “cosa pensano di noi”, anche in questo caso la risposta può
essere di una semplicità disarmante: se il nostro atteggiamento è di rispetto
per la persona, qualunque persona, non dobbiamo preoccuparci del giudizio,
altrimenti conviene farci un pensiero.
Queste riflessioni mi fanno sentire veramente orgoglioso di essere
accompagnato dai volontari L.V.I.A. e mi rendo conto di approfittare a piene
mani del merito e della riconoscenza acquisiti dall’Associazione in tutti
questi anni di attività in Kenya.
Domenica 8 luglio
Dopo il sonno ristoratore e una
buona colazione, ci rechiamo presso la missione della Consolata a Mukululu, viaggiando
su strade polverose e in salita: sembra di andare nei boschi eppure lungo tutto
il tragitto vediamo gente a piedi, vestita a festa.
Qui partecipiamo alla messa che è
un vero e proprio spettacolo: c’e tanta gente attiva, che canta e danza.
Si capisce chiaramente che la musicalità ed il ritmo sono innati in
questo popolo ed i canti e le danze sono considerati come un’offerta ed un
omaggio, non soltanto in occasione delle cerimonie religiose, ma anche come
vedremo in seguito, verso gli ospiti. Durante la funzione, in occasione dei
canti più ritmati, dove tutti si muovevano e cantavano all’unisono,
l’impressione era di essere dentro un’onda del mare e di far parte di un unico
corpo.
Sono tutti molto curati nell’abbigliamento e le donne anche nell’acconciatura.
Le treccine sono veri e propri
capolavori!
La messa è anche un momento forte di aggregazione ed incontro prima e
dopo il rito.
Abbiamo notato durante tutto il nostro viaggio che i keniani sono
persone molto dignitose, con spiccata cura dell’aspetto, del modo di
presentarsi, orgogliose e molto accoglienti verso gli ospiti.
Qui vive da 56 anni fratel
Giuseppe Argese, detto Mukiri (il silenzioso), originario della Puglia.
Ha costruito questa grande chiesa, collaborando
in prima persona alla definizione di soluzioni architettoniche e al progetto dell’edificio. Il risultato è veramente
sorprendente.
Coltiva un grande orto con
verdure, fiori e piante sia provenienti dall’Italia che locali. Ci spiega che
le piante importate o diventano gigantesche o non producono affatto, rimanendo
nane. È riuscito a produrre anche due o tre tipi di vino che vende nei
ristoranti più famosi di Nairobi.
Anche noi acquistiamo alcune
bottiglie con le quali più tardi chiuderemo festosamente la cena. Grazie anche alla sua dote di rabdomante, (ma
non solo) ha costruito un grande acquedotto che copre 300 kmq e serve una
popolazione di 250.000 persone.
Anche questa testimonianza mi lascia con una sensazione di .. mordi e
fuggi .. forse la mia lentezza a
percepire .., ma la storia e le opere di fratel Argese meriterebbero molto di
più delle poche ore che riusciamo a dedicargli, senza alcuna critica
all’organizzazione del viaggio.
Per vedere questi lavori ci
inoltriamo nella foresta di Nyambene che ricorda un po’ i nostri boschi, con la
novità delle scimmie, che vediamo saltellare agilmente da un ramo all’altro ad
altezze impressionanti e delle felci che qui sono veri e propri alberi. Ci sono
sorgenti, invasi, bacini di raccolta e addirittura una sorgente nella montagna,
ritrovata scavando a mano una galleria. Il pic nic in questo scenario idilliaco
crea il buonumore tra la comitiva.
La giornata prosegue con la
visita al Tigania Hospital, un complesso sanitario iniziato dalla LVIA negli
anni 67-68 ed ora completamente autogestito da personale locale. Ci sono
diverse costruzioni basse ad un unico piano terra, alcune adibite a reparti: infettivi,
maternità, medicina; altre a servizi: radiologia e laboratorio, lavanderia,
cucina…, poi ci sono gli alloggi (stanze) per il personale. L’assistenza non è
gratuita: il paziente versa un contributo in base alle sue possibilità.
Giovanni ha lavorato in questo
ospedale circa un anno e Concetta ci fa vedere dove abitavano circa 24 anni fa.
Giulia è nata a Meru e Fabio allora
aveva pochi anni.
Anche in questo caso mi colpisce la sensazione di precarietà che cozza
con la nostra mentalità occidentale.
Dopo lo sforzo iniziale di fondare, costruire ed espandere una realtà
come questa, posso capire gli alti ed i bassi di una gestione più o meno buona,
ma ora, pensare che si potrebbe perdere tutto soltanto per la difficoltà a
reperire le figure di gestione e
l’organizzazione di sostegno, mi pare veramente uno spreco immenso ( ..where is
Kenya ?..).
La sera ci intratteniamo
allegramente fino a tarda ora, sorseggiando il vino acquistato al mattino.
Lunedì 9 luglio
Oggi il cielo è coperto ed
aleggia una nebbiolina autunnale.
Andiamo al Meru Water Office: lo
studio di Enrico, dove vediamo i progetti idrici realizzati in Tharaka/Meru
South dagli anni 80 in
poi, in collaborazione con un certo sig. Botta, che ritroveremo a Nairobi.
La gestione degli acquedotti è
regolata da centri autonomi con un proprio comitato.
Visitiamo uno di quelli che
funzionano meglio. Qui hanno quasi tutti l’acqua in casa....Significa che hanno
una fontana in cortile, con rubinetto munito di lucchetto e pagano a consumo.
Ci rechiamo presso una famiglia, dove la signora ci spiega che prima
di avere l’acqua in casa, lei dedicava 5-6 ore al giorno
all’approvvigionamento per la casa e gli
animali.
Ci spostiamo nuovamente coi
matata, i cui finestrini proprio non vogliono saperne di stare chiusi, e viaggiando
ore e ore su queste polverose strade sterrate, ci ricopriamo di polvere rossa
come l’argilla che ci circonda. Facciamo i fanghi a secco!
Arriviamo alla Meru Herbs, dove
pranziamo. Si tratta di una sorta di fattoria modello / cooperativa che prepara
marmellate, sughi, lavora carcadè, camomilla, citronella, che commercializza
soprattutto nei negozi equo-solidali all’estero. È una cooperativa che ha
un’area di coltivazione a scopo soprattutto dimostrativo, poi compra e lavora
anche i prodotti dei contadini associati ai quali fornisce l’acqua.
E’ stato veramente interessante parlare con i responsabili che
gestiscono questa realtà. Sciorinando le spiegazioni tecniche sui tipi ed i
sistemi di coltivazione o il metodo di preparazione dell’humus, l’essicazione
del carcadè, l’uso conservante della citronella o la preparazione dei mattoni,
traspare netto il loro orgoglio per gestire direttamente queste attività ..
“questa è la nostra forza”.
Nel tragitto verso Ruiri, incrociamo
tanti bambini che tornano da scuola, rigorosamente in divisa, (diverse da
scuola a scuola: maglia marrone e camicia arancione, maglia blu e camicia verde
chiaro, maglia viola e camicia rosa) Come risaltano i colori sulla loro pelle
color cioccolato!… Ci salutano con le mani e con i loro sorrisi.
Martedì 10 luglio
Ci alziamo con una pioggerellina finissima
e ci dirigiamo in alto, verso il monte Kenia, dove ci sono estese coltivazioni
di the. Peccato che il tempo non ci permetta di spaziare di più con lo sguardo
per ammirare queste stupende distese di cespugli, divise dal labirinto dei sentieri
necessari alla raccolta.
A Michimukuru intraprendiamo la
visita guidata della Tea Factory, indossando i camici bianchi.
La fabbrica, un tempo gestita
dagli inglesi, è diventata statale per passare poi in mano a privati locali.
Lavora il prodotto delle sue coltivazioni e ciò che viene conferito da altri
coltivatori.
Il the arriva in grandi sacchi
aperti e viene subito selezionato: più il germoglio è tenero, cioè di punta e
migliore è il prodotto. Suddividono tre tipi di qualità. Le foglie vengono
trattate con aria calda per 6 ore, poi viene aspirata aria per altre 6 ore,
dopodiché il prodotto dovrebbe avere il 60% di umidità. Sempre procedendo su
rulli, viene tritato, raffinato e passato nell’essiccatore a 140°. Dopo un’ora
e mezza è pronto per essere controllato e confezionato in grandi sacchi. Questo
è il the nero, che nella distribuzione industriale viene poi miscelato con
altri tipi.
Scendiamo dalla montagna passando
per un’altra strada più ripida e impervia della precedente. Raggiunta la
pianura però ci dirigiamo verso nord e il paesaggio cambia, diventando sempre
più arido.
Scompaiono le coltivazioni di
banane sostituite da distese di arbusti secchi, intervallati qua e là da piante
grasse nelle dimensioni di alberi. Molti alberi presentano simil-cestini appesi
ai loro rami: sono i nidi dell’uccello tessitore, guardandoli bene, infatti, si
scorge il foro di accesso.
Anche la gente cambia: gli
individui sono più alti, snelli, longilinei. Sono i Masai.
Gli animali sono più magri:
vediamo greggi di pecore e capre che pascolano non si sa bene cosa e sono
praticamente assenti le mucche. Tra gli arbusti secchi compare a volte una
capanna di paglia circolare o a forma di panettone. Seguiamo una strada
asfaltata di recente, dove non passa quasi nessuno.
Decidiamo di comprare la frutta
per il pranzo ad Isiolo, un paese che incontriamo strada facendo: c’è il
mercato, come in tutti i paesi, ogni giorno, lungo la strada principale, nello
sterrato delle piazze e sotto baracche di legno ( i più fortunati perché c’è
l’ombra?).
Il gruppo si compatta attorno a
Sandro per entrare nel mercato: qui non conviene tanto andar da soli. Da ogni
parte ragazzini consumano e ci offrono
una droga leggera che toglie lo stimolo della fame, altri sniffano
colla. Non so se sia maggiore l’interesse a venderci l’erba o la curiosità nei
nostri confronti!
Ci sentiamo un po’ smarriti, ci sono dei volontari qui ? Dov’è la
diocesi ? A chi si aggrappano questi ragazzi ?
Poiché non troviamo un angolo per
il nostro pic-nic, proseguiamo qualche chilometro arrestandoci in uno spiazzo
all’apparenza senza anima viva.
Appena iniziamo a consumare i
nostri panini, si avvicina un bimbetto di pochi anni. Gli offriamo un panino, mangia avidamente il pane, ma guarda
con dubbio il tonno, che evidentemente non conosce e tenta di rifilarlo alla
bambina giunta subito dopo.
Pian piano ne arrivano altri e,
dopo la diffidenza iniziale si avvicinano anche gli adulti., seguiti a breve
distanza dagli animali che pascolano. Condividiamo il nostro pranzo, ma oggi
per loro sarà sicuramente una giornata
speciale. E ci vien da pensare “con così poco…”.
Proseguiamo ancora su questa
strada costruita di recente, incrociando piccoli villaggi di Masai, con le
tipiche capanne e recinzioni in arbusti secchi, finchè ci troviamo all’ingresso
del Samburu Park.
Qui l’atmosfera cambia drasticamente ed in modo stridente con la realtà
di Isiolo: grossi Land Rover e “matati” col tettino rialzato arrivano in
continuazione carichi di occidentali con super attrezzature fotografiche.
Mentre attendiamo Sandro che sta
espletando le pratiche burocratiche per il nostro ingresso e soggiorno nel
parco, ammiriamo splendidi uccelli che vestono i colori dei nostri matata.
Ora i nostri autisti ci portano in
giro, attraverso vie sabbiose e polverose. Siamo tutti alle prese con le nostre
più o meno sofisticate macchine fotografiche, attenti a “cogliere l’attimo
fuggente” …
Vediamo i dik-dik sempre molto
vicini alle strade e in coppia, le gazzelle in gruppo, gli impala, e una grande
famiglia di elefanti, tra i quali anche due piccoli, ben protetti dagli adulti.
Pascolano tranquilli, senza considerarci.
Arriviamo al Lodge che non è
ancora buio, in tempo quindi per ammirarlo in tutta la sua magnificenza. E’ una
struttura alberghiera con tanti bungalow eleganti, con il tetto in paglia,
posti in un parco all’ombra di alti alberi e in riva al fiume. C’è pure la
piscina! Tutto ciò che cercano gli occidentali, ma che stona un po’ con
l’Africa vista fino ad ora!
Doccia super, pasti a buffet, piscina,
coccodrilli sulle rive del fiume, a pochi metri da noi, scimmiette che
saltellano tra gli alberi, musica… quanta ricchezza! Sto cercando di mettermi
nei panni del personale che lavora qui e forse proviene da chissà quali realtà…
Mentre ceniamo, un gatto
selvatico attraversa il locale e, con velocità fulminea si sistema su una trave
del sottotetto, lasciando in mostra la sua lunga coda juventina. Mi
incuriosiscono due individui vestiti da Masai che se ne stanno lì vicino ai
tavoli con la fionda in mano e il sassolino già preparato per essere lanciato,
ma a chi? Alle scimmiette che rubano cibo dal piatto dei commensali o dai
piatti preparati sul bancone, con un’abilità, una destrezza e una velocità
sorprendenti.
Mercoledì 11 luglio
Oggi sveglia presto, per poter
vedere gli animali che poi si riposano quando fa caldo. Monica si fa attendere
e per questo si porterà in eredità “where is Monica?” coniato da Seresio, il
secondo autista.
Facciamo un ampio giro prima di
colazione e siamo molto fortunati perché riusciamo a vedere quasi tutti i tipi
di animali qui presenti, persino un ghepardo un po’ zoppicante e quindi a
rischio per la sua vita…
E’ stato fantastico vedere a pochi passi questi splendidi animali in
libertà nel loro ambiente naturale. Questa tappa non poteva mancare.
Dopo colazione vita da spiaggia
alla piscina. Fa molto caldo, anche se siamo nella stagione fredda e il fiume
ora è nel pieno della portata ma è in secca per molti mesi dell’anno. Ora la
sua acqua è torbida e rossa come la terra argillosa che si vede ovunque.
Ripartiamo nel primo pomeriggio e
dopo una trentina di chilometri (?) il paesaggio cambia totalmente: stiamo
salendo su per le montagne intorno ai 2000 metri. E’ tutto
coltivato, ci sono tante serre (Sandro dice che sono gestite da arabi) e molti
prati. Le mucche sono di nuovo belle floride.. In lontananza vediamo le colline
del the e la nebbiolina che ci limita lo sguardo.
Siamo di nuovo nella zona di
Meru. Ci fermiamo a Nanyuki, dove cerchiamo un Hotel per la notte. È di
“lusso”per i kenioti, ma a noi sembra
molto scarso, dopo l’esperienza del Lodge, ma più consono all’esperienza che
stiamo vivendo.
Facciamo il giro del paese prima
di cena: i negozi che stavano chiudendo, si affrettano a riaprire passandosi parola. C’è una via centrale
asfaltata, sulla quale si affacciano quasi tutte le botteghe, tutto il resto
generalmente è terra battuta.
Davanti al nostro hotel c’è un
edificio in costruzione: i nostri geometri guardano con attenzione i ponteggi fatti
di rami e piccoli tronchi d’albero (forse per copiarne il modello?) La 626 sembra
fantascienza …
Giovedì 12 luglio
Dopo colazione si visita a
Nanyuki una scuola primaria che funziona molto bene: i bambini pagano una retta
annuale pari a 12 euro. Ci accolgono con canti che ci ricordano il nostro
paese.
Ancora una volta abbiamo la conferma che il governo Kenyota voglia
fortemente la scolarizzazione dei giovani, ma il suo impegno si limita a
stipendiare gli insegnanti, tutto il resto è carico delle associazioni di
volontariato e delle comunità locali. Visto da noi Italiani vien quasi da
pensare che in fondo se la comunità locale finanzia direttamente la costruzione
di una scuola o un qualunque altro servizio, controlla in modo veramente
diretto la spesa che sostiene ed il denaro non si disperde in mille rivoli … mi
scopro secessionista .. ? o sto soltanto guardando il nostro futuro nella sfera
di cristallo di questa esperienza?
Nello stesso complesso c’è anche
il Self Help Group: una cooperativa che dà lavoro a 137 donne tra le più
disagiate di Nanyuki. Lavorano la lana, partendo dalla cardatura a mano, poi
eseguono la filatura, il lavaggio e la tintura con fiori ed erbe, la produzione
al telaio di tappeti e altri manufatti. Hanno anche un locale per esposizione e
vendita di questi e altri prodotti artigianali.
Nel nostro viaggio verso
Nyahururu, abbiamo la possibilità di ammirare delle belle cascate ed essendo un
luogo turistico, troviamo anche chi ci vuole mettere i camaleonti sul braccio
per la foto.
Pranziamo in un ristorante, dove
ci servono pollo arrosto e patatine per meno di due euro!
Proseguiamo verso ovest, fino al
S.Martin Center. Questo centro è nato grazie alla diocesi di Padova che lavora
qui da quasi 60 anni. Consta di diverse strutture: una per il recupero dei
bambini di strada, una per le bambine vittime di violenze, una per i bambini
sieropositivi orfani e per quelli handicappati.
Il concetto forte del S.Martin è che non deve essere tanto aiutato il
disabile, il malato, o la persona in difficoltà, ma la comunità che le sta
intorno, che deve essere formata ad essere consapevole dei bisogni e saper
accogliere chi è in difficoltà … "Only through community" …
Il S.Martin Center coinvolge 1200
volontari locali, grazie ai quali riesce ad individuare ed aiutare i soggetti
più bisognosi creando una rete di sostegno alle comunità locali.
Le prime due strutture sono situate
nella baraccopoli, per non dislocare i ragazzi troppo al di fuori della loro
realtà. Se abbandonano la struttura viene data loro ancora una possibilità di
ritornare.
Generalmente la riabilitazione
avviene dopo circa 6 mesi, ma è molto soggettiva. Ci presentiamo a vicenda,
come sempre e poi i nostri maschi giocano una partitella a pallone con i
ragazzi: sono molto allegri, ci chiedono di tornare. Il pallone unisce età,
lingue e anche colori diversi della pelle!
Poco più avanti, sempre nella
stessa zona periferica, ci sono le ragazze: la più piccola avrà 5 anni e la più
grande è fuggita perché fatta sposare dalla famiglia poco più che bambina.
Stanno accendendo la stufa a legna per preparare la cena. In entrambe le
strutture è sempre presente un operatore (educatore?).
Il centro per sieropositivi
invece è nel paese, conta 64 bambini. Vivono in gruppi di 10-12, con cucina,
servizi, camera e operatrice che chiamano “mamma”, come fossero una grande
famiglia. La struttura ha un ampio locale per ritrovi comunitari e per incontri
con i parenti. I bambini vivono qui, ma frequentano le scuole pubbliche. Il
centro è finanziato dai parenti dei bambini che preferiscono pagare piuttosto
che tenere in casa un malato di AIDS (è molto stigmatizzante per loro) e dalla comunità
locale.
Incontriamo casualmente una
volontaria veneta, qui da 2 o 3 anni.: a Venezia lavorava nella moda, ma ora
sente che non sarà più quello il suo lavoro al suo ritorno a casa…
Ancora riflettendo sull’esperienza di oggi e sulla “marcia in più” dei
volontari incontrati, troviamo persino accogliente l’hotel di Nyhaururu.
Venerdì 13 luglio
Oggi facciamo di nuovo i turisti:
la nostra meta è il lago di Bogoria. Per arrivare lì viaggiamo molto in alto,
dove c’è tanto verde e molte piantagioni di caffè e di ananas. Da un certo
punto molto panoramico a quota 2.550 metri vediamo la Rift Valley: una depressione
che si estende per 9600 km.
Arrivando in pianura il paesaggio
cambia totalmente diventando arido, secco. Vediamo mandrie di zebre e qualche
struzzo.
All’ingresso al parco del lago
comperiamo il necessario per il pic nic (qualche scatola di biscotti), notando
con stupore che si vendono tante uova. Usufruisco dei bagni e vi assicuro che
sono i peggiori tra quelli sperimentati nel viaggio. E’ molto meglio la natura,
ma non sempre è possibile…
Il lago è quasi per metà coperto
da una miriade di fenicotteri rosa, che noi osserviamo nei loro spostamenti in
gruppo, mentre consumiamo il pranzo all’ombra un po’ scarsa di alcuni alberi.
Bogoria è un lago di origine
vulcanica, infatti, poco più avanti ci sono i geyser: sorgenti di acqua
bollente. Un’intera scolaresca in gita sta cuocendo le uova in quell’enorme
pentola naturale. Le uova vengono messe nei sacchetti di nylon, legati in punta
ad un ramoscello e poi immersi nell’acqua e dopo 7 minuti sono sode!
La zona sembrerebbe essere un
habitat per serpenti, ma il solo pensiero mi fa rabbrividire. Meglio non
pensarci!
Non siamo abituati al caldo afoso
che c’è qui, noi ora conosciamo l’Africa fresca.
In preda all’abbiocco post-prandiano,
ci mettiamo in viaggio verso il lago Naivasha, situato più a sud. Arriviamo
quasi al tramonto ma ancora in tempo per un giro in barca alla ricerca degli
ippopotami. Sono tutti in acqua, ma vediamo i loro occhi affiorare, la bocca
spalancata di uno (sbadigliava per la
noia?), il corpo di un altro che è a riva…C’è anche, l’aquila pescatrice bianca
e nera. Il nostro barcaiolo la richiama con
un fischio, poi butta un pesce in acqua e lei si lancia dall’albero sul
quale è appollaiata, carpendo la preda
con gli artigli.
Non ci resta che raggiungere
Nairobi: ci sono due belle ore di viaggio. Lungo la strada vediamo una
moltitudine di serre gigantesche per fiori e frutta e vicino a queste numerose
costruzioni tutte uguali, in serie, potrebbero essere dormitori per il
personale o abitazioni anche per le famiglie…Rimane il dubbio…
Arriviamo dalle suore
dell’Assunzione verso le 21. Doccia, cena e nanna. Vita un po’ monastica anche
per noi.
Sabato 14 luglio –Domenica 15 luglio
Nairobi è una grande città, con
una popolazione di circa 4 milioni di abitanti, destinata ad aumentare molto
rapidamente.
Passiamo a salutare il sig. Botta, l’ideatore del Meru
Herbs, il quale ci accoglie nel suo ufficio e ci spiega come è nata la sua idea
e come l’ha portata avanti nel tempo, ampliando e migliorando i prodotti e i
contatti col mercato estero. E’ già molto avanti con gli anni e spera che i
suoi successori sappiano portare avanti dignitosamente questa l’attività.
Attraversiamo una zona
residenziale della città, dove vediamo ville circondate da giardini con piante
d’alto fusto e, a volte, anche protette da un giro di fili d’alta tensione!
Arriviamo poi alla periferia, alla
bidonville.
Passiamo nell’unica strada
presente, ai lati della quale ci sono montagne di rifiuti e su questi ci sono
maiali, magre caprette e bambini che scavano. Poco oltre ci sono bancarelle per
la vendita di generi vari, la maggior parte forse riciclati dalla grande
discarica che vediamo dietro la baraccopoli, banchi di generi alimentari molto
scadenti. Vicino alla strada (è veramente difficile definirla così) c’è un
piccolo fossato con un po’ di acqua nera puzzolente che risponderebbe bene al
nome di fogna. Dietro alla via tante baracche di legno, fatiscenti, con piccoli
passaggi tra fango, terra rossa polverosa,
detriti e rifiuti. Tantissima
gente in movimento, bambini scalzi ovunque.
Ci fermiamo nella comunità
fondata dal Padre Comboniano Alex Zanotelli (un personaggio scomodo “silurato”
da “autorità italiane” “molto in alto”), un centro, costruito per i ragazzi di
questa baraccopoli (Korogocho, che significa caos).
C’è la scuola frequentata da
circa 960 bambini e una biblioteca ben fornita. I muri della scuola che si
affacciano al cortile sono atlanti di anatomia, di geografia…
I bambini trascorrono la loro
giornata a scuola, dove pranzano anche, poi tornano a casa a dormire e qualcuno
anche a lavorare.
Una volontaria bresciana ci
spiega che tutti i ragazzi di strada che sono tali per scelta, cioè per
sfuggire alle violenze casalinghe, o perché abbandonati, riescono ad essere
recuperati e riabilitati al 100% Quelli che invece hanno già avuto esperienze
di droga o prostituzione sono recuperabili al 50%, cioè una metà torna a fare
la vita di prima. Per questi ultimi è stato aperto un altro centro più vicino
alla discarica, dove fanno tanta attività fisica e pian pianino vengono aiutati
a riprendere la scuola da dove l’avevano interrotta. Li vediamo mentre danzano: hanno proprio il
ritmo nel sangue.
Coinvolgono anche noi. Sarebbe
bello condividere più tempo con loro! I loro sorrisi sono meravigliosi,
esprimono tanta voglia di vivere. In
questa nostra passeggiata siamo accompagnati da ragazzi del quartiere diventati
volontari del centro. Provo un certo disagio in questo cammino, mi sento
spettatrice della malasorte altrui, mi sembra di violare la privacy di questa
povera gente.
E’ certamente l’esperienza più forte di tutto il viaggio, non trovo le
parole .. è come scendere all’inferno e scoprire che proprio li c’è un miracolo
..
Per pranzare ci inoltriamo nella
modernità dei centri commerciali di Nairobi, dove non si può neanche fumare per
strada: siamo ancora tutti sconvolti da ciò che abbiamo visto. Come possono
esistere due Afriche così diverse a poche centinaia di metri l’una dall’altra?
È il controsenso di tutte le grandi città…
Nel centro ci sono ristoranti di
nazionalità diverse, ma quasi tutti noi scegliamo la cucina africana, alla
quale ci siamo affezionati.
Dopo pranzo shopping nei
mercatini tipici a caccia di souvenir, tra bigotteria, oggetti in legno, batik
e teleria. Appena arriviamo un passaparola generale diffonde la notizia tra i
vari venditori che si preparano a trattare i prezzi.
Ci intratteniamo in una birreria
del centro per bere qualcosa di fresco, in attesa della cena al “Carnivore”, un
locale tipico per gustare carni alla brace di vari tipi di animali. Ceniamo
mentre davanti a noi si esibiscono su un palco i Samburu, con salti, danze propiziatorie
(alla fertilità, alla circoncisione…). Man mano che la serata prosegue, sempre
più gente viene coinvolta nelle danze. Fuori arde un grande braciere rotondo
intorno al quale ci si siede per riscaldarsi e chiacchierare. Tutto questo non
è strano se si pensa che Nairobi è a 1800 metri di altitudine e siamo nella stagione
fredda. Giunge così l’ora di partire per l’aeroporto: siamo tutti silenziosi,
ma non è solo l’ora tarda a renderci muti…
All’aeroporto di Nairobi
compiliamo un modulo, ma i controlli sono molto più sbrigativi e così anche al
Cairo, dove qualcuno rischia quasi di restare a terra...!
Il nostro aereo decolla alle 4 e
30 e atterra al Cairo verso le 8.20. Salutiamo gli amici di Foligno e ripartiamo
alle 9.45 per atterrare a Malpensa alle
14 circa, stanchi ma felici dell’esperienza.
Il viaggio non solo ha soddisfatto
le nostre aspettative ma è andato oltre e per questo vogliamo ringraziare
ancora l’ottimo lavoro organizzativo di Roberta, Sandro che è stato un ottimo e
paziente accompagnatore, tutti i volontari e le persone che abbiamo incontrato
e lo splendido gruppo nel quale ci siamo trovati.
Caterina e Roberto
Un vero e proprio diario di viaggio!!! Che bello, ho recuperato tanti piccoli momenti che avevo scordato! Grazie, Monica.
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