Son passati poco più di 10 giorni dal nostro rientro a casa.
Casa, Italia, Occidente, le nostre abitudini, la routine, le
sicurezze, tutto è rimasto qui ad attenderci; in fondo in questo tempo qui non
è successo nulla; i soliti scandali politici, lo spread, qualche altra donna
uccisa da un folle, le temperature record di ogni estate…
Mi sveglio ancora tal volta al mattino con qualche fuggevole
traccia di un sogno in cui compare qualche viso dalla pelle scura.
Mi ha molto colpito questo particolare, prima di questo
viaggio non avevo mai sognato persone di colore.
Prima di questo viaggio i loro visi mi sembravano più o meno
tutti uguali, avevo si e no una decina
di stereotipi dei loro visi, eppure ho avuto amici, compagni di università, ho persino una nipote di pelle scura. Ho fatto
altri viaggi in Africa in precedenza ma ero una turista e non ho mai appreso
neppure una loro parola prima, neppure la più ricorrente o banale.
Non sapevo il significato di musungo.
Mi sfuggivano i particolari delle loro espressioni, le tante
forme dei loro visi; la sensazione di avere tutti i sensi all’erta nel creare un delicato contatto con bimbi incontrati casualmente lungo un
infinito e assolato stradone dove i viaggiatori non si fermano mai…bimbi giunti
guardinghi e curiosi da qualche remota capanna lungo la statale, piccoli villaggi fuori da
ogni meta turistica.
Bimbi incuriositi dal nostro bianco con le loro manine a
toccare questi nostri strani lisci
capelli; vederli ridere tra loro che certo dovevano trovarci così buffi e
strani, quasi alieni.
Ad essere diversi eravamo noi.
Noi ad essere osservati, scrutati, a sentirci toccare le nostre mani e braccia nelle loro
esplorazioni.
Non mi era mai capitato di sentirmi diversa per qualche aspetto che ho sempre considerato
banale o scontato per me e per i miei simili, da sempre.
Inevitabile immaginarmi lo choc che avranno loro la prima
volta che mettono piede in occidente.
Loro che sanno molto meno di noi di quanto noi sappiamo di
loro.
Noi che ci prepariamo ad un viaggio, compriamo la Lonely Planet e
studiamo il percorso con Google map, possiamo sapere di loro quasi tutto.
Molti bimbi là erano felicemente sconvolti nel vedersi ritratti
in una foto o in un video, forse per alcuni era la prima volta.
Là dove non ci sono tv. Neppure per noi.
La sera senza tiggì.
Non restava altro che posare l’attenzione su quel che c’era,
il mondo, il tempo e noi stessi.
Sono partita senza conoscere nessuno dei miei compagni di
viaggio.
Un paio d’ incontri per presentarci tra noi, per prepararci
al viaggio.
Condivisioni sommarie, percezioni generiche, a pelle qualche
approccio più simpatico e qualcuno più difficile, ma ignari totalmente l’uno
dell’altro.
In quelle sere senza tv, ci siamo raccontati, abbiamo
condiviso le impressioni, le incredulità e soprattutto abbiamo riso molto,
abbiamo giocato a farci scherzi come ragazzini, abbiamo scoperto quanto è bello
stare insieme per il piacere di produrre allegria l’uno all’altro. L’allegria
nostra, il piacere della compagnia. Quello che non si compra. Quello che non si
ordina.
Lontani da logiche di competizione, di status…quasi mai si è
parlato dei nostri lavori ad esempio, se non in passant o per raccontare
qualche episodio buffo. Quasi mai di politica ed economia, eppure siamo tutte
persone molto informate e in vario modo impegnate nella nostra vita sociale.
Eravamo invece molto presenti a quel che
accadeva ogni giorno, agli incontri e
alle esperienze che ci succedevano.
Soprattutto eravamo immersi, che lo volessimo o meno, nella “loro”
cultura.
L’ho capito solo dopo.
Respiravamo un tempo senza tempo, un tempo diverso in cui
non si deve correre, non si deve consegnare. Certo, questo succede un po’ in
tutte le vacanze si può dire, ma intendo dire una cosa diversa. Osservare una
povera scuola di campagna con banchi
fatti a mano, assi di legno e chiodi, quaderni foderati con carta da
pacchi, libri consunti come mai mi è
capitato di vedere e trovarmi a pensare : “quanto poco ci vorrebbe per portare
qui almeno un solo un pc …quanto poco ci vorrebbe per portare qui libri nuovi…quanto poco ci
vorrebbe a…”
Questo poco che noi risolveremmo con un semplice gesto da
noi e che invece per questi luoghi
comporta un tempo infinito.
Quasi certamente tra un anno in quella scuola saranno ancora
così, con la stessa dotazione.
Vedere più e più volte ripetersi lo stesso scenario, sentire
la nostra mente riproporre lo stesso pensiero interventista, alla fine genera
quel senso di limite; quella percezione che si può fare poco ma si può fare,
che ciascuno di noi può fare poco, la goccia nell’oceano che citava Silvano, ma
pur sempre una goccia; poco per volta si comincia ad accettare quindi una
condizione di tempo dilatata, infinita, a noi sconosciuta.
Perché noi il tempo lo riempiamo, di azioni .
Perché i nostri bisogni normalmente li sopportiamo poco e
dobbiamo soddisfarli, se no cominciamo a soffrire e spesso tutta la nostra vita
corre dietro alla soddisfazione di sempre nuovi bisogni.
In Africa incontriamo bisogni tanto antichi quanto vitali e
il tempo ci appare in una dimensione potente e non “controllabile” dalle nostre
azioni o mirabili pianificazioni.
Diventiamo piccoli, impotenti e umili.
Il tempo è oggi.
Mi sto lasciando accompagnare da questo pensiero.
Ho avuto difficoltà a parlare di questo viaggio , ho sentito
un poco la stessa ritrosia nell’iniziare queste righe, parlarne
mi fa serpeggiare la sensazione di consumarlo, scriverne sollecita l’orrore
di farne una leziosa elegia…
Qualcosa di prezioso che intuivo prima di partire ma di cui
non ero certa, è stato incontrato, è in fondo alla mia anima, lo sento e voglio
salvaguardarlo.
Ho scritto tutto questo per incoraggiare altre persone a
fare questo viaggio, ad avere
un’esperienza non turistica dell’Africa,
ad entrarci dentro, anche solo per poco. Questi “incontri reali” che
le associazioni umanitarie promuovono
sono il miglior regalo che vorrei fare alle persone tutte, soprattutto a quelle
cui voglio bene e ai giovani.
Grazie a Lvia, a
tutti i miei compagni di viaggio che mi
hanno permesso di sentirmi così bene e a tutti i cuori incontrati che hanno fatto
sentire così vivo il mio.
Monica
Grazie per la bella e intensa condivisione .... credo proprio che tutti noi abbiamo vissuto le tue stesse emozioni
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