venerdì 27 luglio 2012

Son passati poco più di 10 giorni dal nostro rientro a casa.


Son passati poco più di 10 giorni dal nostro rientro a casa.
Casa, Italia, Occidente, le nostre abitudini, la routine, le sicurezze, tutto è rimasto qui ad attenderci; in fondo in questo tempo qui non è successo nulla; i soliti scandali politici, lo spread, qualche altra donna uccisa da un folle, le temperature record di ogni estate…

Mi sveglio ancora tal volta al mattino con qualche fuggevole traccia di un sogno in cui compare qualche viso dalla pelle scura.
Mi ha molto colpito questo particolare, prima di questo viaggio non avevo mai sognato persone di colore.
Prima di questo viaggio i loro visi mi sembravano più o meno tutti uguali,  avevo si e no una decina di stereotipi dei loro visi, eppure ho  avuto amici, compagni di università, ho  persino una nipote di pelle scura. Ho fatto altri viaggi in Africa in precedenza ma ero una turista e non ho mai appreso neppure una loro parola prima, neppure la più ricorrente o banale.
Non sapevo il significato di musungo.
Mi sfuggivano i particolari delle loro espressioni, le tante forme dei loro visi; la sensazione di avere tutti i sensi all’erta nel  creare un delicato contatto con  bimbi incontrati casualmente lungo un infinito e assolato stradone dove i viaggiatori non si fermano mai…bimbi giunti guardinghi e curiosi da qualche remota capanna  lungo la statale, piccoli villaggi fuori da ogni meta turistica.
Bimbi incuriositi dal nostro bianco con le loro manine a toccare questi  nostri strani lisci capelli; vederli ridere tra loro che certo dovevano trovarci così buffi e strani, quasi alieni.
Ad essere diversi eravamo noi.
Noi ad essere osservati, scrutati, a sentirci  toccare le nostre mani e braccia nelle loro esplorazioni.
Non mi era mai capitato di sentirmi diversa  per qualche aspetto che ho sempre considerato banale o scontato per me e per i miei simili, da sempre.
Inevitabile immaginarmi lo choc che avranno loro la prima volta che mettono piede in occidente.
Loro che sanno molto meno di noi di quanto noi sappiamo di loro.
Noi che ci prepariamo ad un viaggio, compriamo la Lonely Planet e studiamo il percorso con Google map, possiamo sapere di loro quasi tutto.
Molti bimbi là erano felicemente sconvolti nel vedersi ritratti in una foto o in un video, forse per alcuni era la prima volta.
Là dove non ci sono tv. Neppure per noi.
La sera senza tiggì.
Non restava altro che posare l’attenzione su quel che c’era, il mondo, il tempo e noi stessi.
Sono partita senza conoscere nessuno dei miei compagni di viaggio.
Un paio d’ incontri per presentarci tra noi, per prepararci al viaggio.
Condivisioni sommarie, percezioni generiche, a pelle qualche approccio più simpatico e qualcuno più difficile, ma ignari totalmente l’uno dell’altro.
In quelle sere senza tv, ci siamo raccontati, abbiamo condiviso le impressioni, le incredulità e soprattutto abbiamo riso molto, abbiamo giocato a farci scherzi come ragazzini, abbiamo scoperto quanto è bello stare insieme per il piacere di produrre allegria l’uno all’altro. L’allegria nostra, il piacere della compagnia. Quello che non si compra. Quello che non si ordina.
Lontani da logiche di competizione, di status…quasi mai si è parlato dei nostri lavori ad esempio, se non in passant o per raccontare qualche episodio buffo. Quasi mai di politica ed economia, eppure siamo tutte persone molto informate e in vario modo impegnate nella nostra vita sociale. Eravamo invece molto presenti  a quel che  accadeva ogni giorno, agli incontri e alle esperienze che ci succedevano.
Soprattutto eravamo immersi, che lo volessimo o meno, nella “loro” cultura.
L’ho capito solo dopo.
Respiravamo un tempo senza tempo, un tempo diverso in cui non si deve correre, non si deve consegnare. Certo, questo succede un po’ in tutte le vacanze si può dire, ma intendo dire una cosa diversa. Osservare una povera scuola di campagna con banchi  fatti a mano, assi di legno e chiodi, quaderni foderati con carta da pacchi,  libri consunti come mai mi è capitato di vedere e trovarmi a pensare : “quanto poco ci vorrebbe per portare qui almeno un solo un pc …quanto poco ci vorrebbe per  portare qui libri nuovi…quanto poco ci vorrebbe a…”
Questo poco che noi risolveremmo con un semplice gesto da noi e che invece  per questi luoghi comporta  un tempo infinito.
Quasi certamente tra un anno in quella scuola saranno ancora così, con la stessa dotazione.

Vedere più e più volte ripetersi lo stesso scenario, sentire la nostra mente riproporre lo stesso pensiero interventista, alla fine genera quel senso di limite; quella percezione che si può fare poco ma si può fare, che ciascuno di noi può fare poco, la goccia nell’oceano che citava Silvano, ma pur sempre una goccia; poco per volta si comincia ad accettare quindi una condizione di tempo dilatata, infinita, a noi sconosciuta.
Perché noi il tempo lo riempiamo, di azioni .
Perché i nostri bisogni normalmente li sopportiamo poco e dobbiamo soddisfarli, se no cominciamo a soffrire e spesso tutta la nostra vita corre dietro alla soddisfazione di sempre nuovi bisogni.
In Africa incontriamo bisogni tanto antichi quanto vitali e il tempo ci appare in una dimensione potente e non “controllabile” dalle nostre azioni  o mirabili pianificazioni.
Diventiamo piccoli, impotenti e umili.
Il tempo è oggi.
Mi sto lasciando accompagnare da questo pensiero.
Ho avuto difficoltà a parlare di questo viaggio , ho sentito un poco la stessa ritrosia nell’iniziare queste righe,  parlarne  mi fa serpeggiare la sensazione di consumarlo, scriverne sollecita l’orrore di farne una leziosa elegia…
Qualcosa di prezioso che intuivo prima di partire ma di cui non ero certa, è stato incontrato, è in fondo alla mia anima, lo sento e voglio salvaguardarlo.

Ho scritto tutto questo per incoraggiare altre persone a fare questo viaggio,  ad avere un’esperienza non turistica dell’Africa,  ad entrarci dentro, anche solo per poco. Questi “incontri reali” che le  associazioni umanitarie promuovono sono il miglior regalo che vorrei fare alle persone tutte, soprattutto a quelle  cui voglio bene e ai giovani.

 Grazie a Lvia, a tutti i miei compagni di viaggio  che mi hanno permesso di sentirmi così bene e a tutti i cuori incontrati che hanno fatto sentire così vivo il mio.

Monica

1 commento:

  1. Grazie per la bella e intensa condivisione .... credo proprio che tutti noi abbiamo vissuto le tue stesse emozioni

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